intervista – Una "Carta" da ripensare” “” “

Perplessità condivise
dalle Chiese cristiane
a proposito della Carta
dei diritti fondamentali
dell’Unione europea


“Ci rallegriamo del successo e del progresso dell’Unione Europea. La tendenza emergente a trasformare alcuni Paesi europei in Stati secolarizzati senza alcun riferimento alla religione costituisce un regresso e una negazione della loro eredità spirituale. Siamo chiamati ad intensificare i nostri sforzi affinché l’unificazione dell’Europa giunga a compimento. Sarà nostro compito fare il possibile, perché siano conservate inviolate le radici e l’anima cristiana dell’Europa”. E’ uno stralcio della “Dichiarazione comune” sottoscritta da Giovanni Paolo II e Christodoulos, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia. Se da una parte però i responsabili delle Chiese cristiane richiamano l’Europa a non dimenticare le sue radici cristiane, dall’altra la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” manca di un qualsiasi riferimento a Dio e al cristianesimo. Abbiamo rivolto alcune domande a mons
. Attilio Nicora, delegato della presidenza Cei per le questioni giuridiche nonché vice-presidente della Comece (Commissione degli episcopati dell’Unione europea).

Quale significato assume per la comunità cristiana la Giornata del 9 maggio dedicata all’Europa?
“E’ un urgente invito a prendere coscienza che il processo verso una più ampia e più consistente unità politica e istituzionale dell’Europa cammina inesorabilmente, sia pur attraverso difficoltà e titubanze molto grandi; che tutto questo è destinato ad avere significative ricadute, specialmente nei Paesi a tradizione cattolica, anche sulle nostre comunità, e che quindi occorre vivere la sfida con coraggio, determinazione e fiducia. La Chiesa non deve mai temere le grandi trasformazioni culturali, sociali e istituzionali che si generano nella storia: piuttosto deve accompagnarle criticamente e propositivamente alla luce del Vangelo”.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, a proposito della libertà religiosa, ha lasciato perplessi in particolare i cattolici. Sono possibili modifiche o integrazioni al testo?
“Per la verità, le perplessità sono state ampiamente condivise anche dalla Chiesa ortodossa e dalle confessioni evangeliche. Stupisce l’accanimento con cui si è rifiutato di riconoscere oltre al diritto individuale di libertà religiosa, che può essere espresso in forma singolare o collettiva, il diritto delle confessioni religiose come tali a organizzarsi in piena autonomia e ad agire secondo i propri statuti con specifico rilievo nell’ambito civile. La sorpresa è ancor maggiore se si considera l’espresso riconoscimento dato ai sindacati e ai partiti politici europei. C’è davvero da augurarsi che la scelta venga ripensata. Peraltro tutto dipenderà dalla sorte della ‘Carta’: sarà infatti da vedere se essa resterà una proclamazione politica, così come è uscita da Nizza, oppure se verrà assunta all’interno del disegno di ‘costituzione’ europea che è nei voti di molti, con la possibilità di opportune rimediazioni e arricchimenti”.
Nella “Dichiarazione comune” sottoscritta ad Atene, Giovanni Paolo II e Christodoulos si appellano ai cristiani perché nel processo di unificazione “siano conservate inviolate le radici e l’anima cristiana dell’Europa”. Cosa ne pensa?
“Mi paiono importanti tre cose: individuare esattamente gli elementi giuridico-istituzionali per i quali è non soltanto doveroso ma anche realistico battersi; incrementare l’azione comune e convergente tra Chiese e comunità cristiane presenti in Europa; ricordare che il livello primario e decisivo resta quello etico-culturale, da alimentare nelle popolazioni del continente e da far emergere coerentemente come istanza politico-democraticva, grazie soprattutto all’impegno di un laicato cristiano appassionato e responsabile”.