Proseguono
i negoziati per all’allargamento dell’Ue da 15 a 27 Paesi.
Quali saranno le conseguenze culturali e spirituali di questo ampliamento dell’Unione?
Rispondono alcuni diplomatici
e studiosi.
Malgrado il “no” irlandese al Trattato di Nizza espresso la settimana scorsa a seguito della consultazione referendaria, i negoziati di adesione con i dodici Paesi candidati all’Unione sono proseguiti regolarmente. Terminato il round del 11-12 Giugno, l’Ungheria è ora il primo Stato ad aver chiuso il capitolo della libera circolazione delle persone, considerato il più complesso dei trenta, dal momento che attiene anche al movimento dei lavoratori. Allo stato attuale la situazione dei vari Paesi è la seguente:
Bulgaria (10 capitoli chiusi su 30); Cipro (22/30); Repubblica ceca (19/30); Estonia (19/30); Ungheria (22/30); Lettonia (15/30); Lituania (17/30); Malta (16/30); Polonia (16/30); Romania (6/30); Slovacchia (17/30); Slovenia (20/30).
Il prossimo appuntamento è fissato per luglio, sotto la Presidenza belga. L’auspicio è che i negoziati si concludano in tempo da consentire ai cittadini dei paesi che avranno fatto i maggiori progressi nei negoziati di partecipare alle elezioni europee di giugno 2004.
Dal punto di vista culturale e spirituale qual è il significato e la “portata” di un allargamento dell’Ue da 15 al 27 Paesi? Secondo il consigliere Domenico Giorgi, responsabile dell’Ufficio relazioni esterne dell’Unione Europea, presso il Ministero Affari Esteri, bisogna “unificare e condividere innanzitutto istituzioni e idee: un sogno a cui non si può rinunciare per ragioni meramente economiche: per la prima volta l’Europa può segnare una riunificazione storica del continente, dopo vicissitudini estreme“.
Giorgi ricorda che l’Unione si trova oggi dinanzi “al quinto allargamento: un processo ampio, dai contorni in parte ancora indefinibili che continuerà per molti anni, voluto dai padri fondatori della Comunità e che vede sullo sfondo i Paesi dell’area balcanica, Croazia in testa, insieme a quelli caucasici come l’Ucraina, che rivendicano la loro vocazione europea”. Perché l’allargamento porta “benefici invisibili ma fondamentali come pace, stabilità politica e prospettive di prosperità, integrando i Paesi vicini usciti da un impero crollato miseramente nel 1989 e condividendo con essi alcune politiche volte anche a creare benessere economico, capace di dare stabilità interna”.
Tuttavia, quando si parla di allargamento dell’Unione Europea come “imperativo categorico e obbligo”, non si può limitare il discorso a “date, cifre, senza discutere dei valori della futura nazione europea: prima delle istituzioni occorre formare una coscienza comune”, osserva Gianfranco Lizza, docente di Geografia politica ed economica all’Università La Sapienza. “L’Europa sta nel cuore o nelle tasche? si domanda -. Prima di parlare di fondi economici per l’Europa, bisogna costruire gli europei: è necessario puntare sui valori, creando innanzitutto una cultura e una mentalità europea. La forza dell’Islam, ad esempio, va oltre i confini nazionali: sta nella capacità del singolo di sacrificarsi e di rinunciare a qualcosa che sente suo per un’idea; non così gli occidentali per il concetto ‘nazione-Europa’”.
Sull’importanza di formare una cultura e un pensiero aperti alla pluralità si sta muovendo la ricerca filosofica cristiana: in un recente convegno all’Università La Sapienza sul tema “Pensare l’uomo”, circa 20 docenti di filosofia provenienti da tutta l’Europa hanno ribadito la necessità di rafforzare a livello antropologico il dialogo tra la tradizione e le diverse religioni. Il confronto tra razze e fedi, infatti, fa parte di “una serie di cambiamenti sociali e culturali che stiamo vivendo; siamo ormai circondati da una società multietnica e multireligiosa”, ha rilevato Francesca Brezzi, docente di filosofia morale alla facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre, che ha organizzato un corso sul tema “Parità e differenze in Europa”. Diventa quindi urgente “educare alle diversità per comprenderne ricchezze e problemi, a partire dal contesto universitario e lavorativo ha osservato -. Basterebbe tornare al testo biblico, che ci insegna la scoperta e il rispetto delle diversità”.