La Caritas
interpella
le istituzioni
comunitarie
Il 20% dei cittadini dell’Unione europea vive con meno del 60% del reddito medio nazionale e il 12% dei lavoratori salariati dell’Unione è in condizioni di povertà. Più di dieci milioni di persone dipendono dall’assistenza sociale, senza la quale non potrebbero sopravvivere. Sono dati emersi durante il 27° convegno nazionale delle Caritas diocesane che si è svolto dal 18 al 21 giugno ad Acireale (Catania). Del ruolo della Caritas e delle altre organizzazioni della società civile per contrastare la povertà in Europa abbiamo parlato con Jean Degimbe , presidente della Commissione sociale di Caritas Europa, organismo con sede a Bruxelles.
Quale sarà il compito della società civile a livello europeo?
“La società civile dovrà assumere molto più rilievo perché una parte del Trattato di Amsterdam prevede nuovi ambiti di attività dell’Unione europea contro le discriminazioni, nelle politiche migratorie, nel settore della protezione sociale. L’Unione chiede ora agli Stati membri di sviluppare un Piano d’azione nazionale di lotta contro la povertà e l’esclusione. Un obiettivo che non sarà raggiunto se gli organismi non governativi, tra cui la Caritas, non verranno coinvolti nell’attuazione di questi piani nazionali”.
Quali suggerimenti sul lavoro da intraprendere?
“Bisogna sviluppare contatti tra istituzioni e società civile (associazioni, organismi non governativi, Caritas, ecc.): Per quanto riguarda le Caritas è necessaria una interattività tra le Caritas nazionali e Caritas Europa per difendere, presentare e correggere certi punti di vista e posizioni politiche prese a Bruxelles. C’è un grande dibattito oggi sulla protezione sociale ed è stato costituito un comitato composto da rappresentanti dei quindici Paesi dell’Unione. Le Caritas possono intervenire nell’evoluzione della politica sociale, cioè su quanto riguarda libera circolazione, sicurezza sociale, protezione sociale, pari opportunità, condizioni di lavoro, sanità e sicurezza lavoro, informazione, consultazione dei lavoratori, politiche di occupazione, lotta contro la povertà e l’esclusione. Se noi non interveniamo chi lo farà? Come Caritas abbiamo il dovere di assumere delle prese di posizione coraggiose. La Caritas deve avere un ruolo di profezia in questo senso. Tutte le Caritas d’Europa hanno già cominciato a lavorare insieme per avere un punto di vista comune sulle povertà. Bisogna che a livello nazionale gli enti coinvolti, le associazioni, incluse le Caritas, possano giudicare per tempo l’incidenza sulle loro attività delle iniziative dell’Unione europea. E’ ora che la società civile cominci ad organizzarsi per far conoscere le sue opinioni anche a Bruxelles”.
Quali sono le responsabilità dell’Europa verso i Paesi dell’Est che chiedono di entrare nell’Unione?
“E’ una grande responsabilità a tutti i livelli, soprattutto dal punto di vista sociale. Ci sono molti problemi legati all’allargamento. Noi siamo in un Europa estremamente liberale allora è necessario che i Paesi dell’Est sappiano comprendere le problematiche a cui andranno incontro. La società civile nei Paesi dell’Est è meno sviluppata a causa di quarant’anni di dittatura. Alcune Caritas sono molto forti, ad esempio quella della Polonia. Per gli altri Paesi dobbiamo impegnarci e capire come fare per aiutarli. Bisogna soprattutto sostenere le Caritas nell’ambito della formazione”
Le istituzioni europee ascoltano la vostra voce?
“Come Caritas Europa siamo accolti e ascoltati dalla Commissione europea Ma sarebbe necessaria una vera struttura di dialogo, consultazione e concertazione tra Commissione e società civile, per avere un dialogo permanente sui problemi sociali”.
Come coniugare, nelle Caritas parrocchiali, la dimensione locale con quella europea?
“Se si vuole avere un vero dialogo sui temi europei, sarebbe utile che la Caritas italiana avesse a livello nazionale, uno o due responsabili incaricati di seguire le politiche europee per poi trasmettere i contenuti a livello parrocchiale”.
a cura di Patrizia Caiffa