svizzera

La Chiesa e i "sans-papiers"

“Non possiamo abbandonare
i 300 mila clandestini che sono
nel nostro Paese”,
afferma il vescovo di Friburgo

4 giugno 2001, lunedì di Pentecoste, festa nazionale in Svizzera: una ventina di immigrati clandestini (“sans-papiers”) occupano la chiesa cattolica di San Paolo a Friburgo e chiedono di essere regolarizzati. Comincia un braccio di ferro che dura quasi tre mesi: un centinaio di immigrati irregolari si alternano occupando la chiesa con il sostegno del “Collettivo dei sans-papiers”; il vescovo, mons. Bernard Genoud tenta una mediazione, la parrocchia si divide e la maggioranza chiede l’intervento della forza pubblica. Finalmente i sans-papiers lasciano la chiesa con la promessa del vescovo di portare le loro richieste alla conferenza episcopale e al governo. Due famiglie di immigrati clandestini sono ora ospitate nella parrocchia, altre in alcuni locali poco distanti. Abbiamo chiesto a mons. Genoud di tornare a commentare questa vicenda, alla luce del recente dibattito in seno al Parlamento europeo su immigrazione e diritto di asilo (cfr servizio pag. 6).

Qual è la situazione degli immigrati clandestini in Svizzera?
“Sono rimasto scioccato quando ho scoperto che in Svizzera si stima ci siano almeno 300 mila immigrati clandestini. E’ incredibile pensare che nel nostro Paese possano esserci tante braccia senza volto, tanti uomini che lavorano con la paura di essere scoperti e di essere scacciati. Certo, le situazioni sono molto differenziate: ci sono i rifugiati in attesa di asilo, ci sono quelli che fuggono da situazioni di guerra o di povertà e ci sono, purtroppo, anche quelli che hanno problemi con la giustizia”.
Cosa può fare la Chiesa svizzera per i sans-papiers ?
“Anzitutto assicura loro che non li abbandonerà mai: sono persone che in qualche modo chiedono rifugio. Se la chiesa non è solo un edificio ma è anche la famiglia dei figli di Dio non può che prendere le loro difese. Abbiamo discusso del problema in seno alla Conferenza episcopale la quale ha pubblicato un comunicato che è stato portato all’attenzione del governo”.
Quali sono state le proposte dei vescovi?
“Abbiamo detto no a soluzioni volte alla regolarizzazione in blocco, senza distinzioni, dei sans-papiers. Ci sono infatti quelli che hanno pendenze giudiziarie, che non possono essere regolarizzati, ma ci sono anche, ad esempio, quelli che avrebbero diritto all’asilo e che vanno accolti nel più breve tempo possibile. Ci sono poi le famiglie, presenti nel nostro Paese da diverso tempo, che hanno già un lavoro. Anche per queste bisogna accelerare al massimo la procedura di regolarizzazione. Infine, abbiamo dato la disponibilità della Conferenza episcopale a creare dei luoghi in tutto il territorio della confederazione aperti all’accoglienza e al dialogo con i clandestini”.
Riproponete l’esperienza delle “missioni” anche per i clandestini?
“E’ vero: in Svizzera abbiamo avuto e continuiamo avere la positiva esperienza delle cosiddette missioni linguistiche dove trovano accoglienza e aiuto gli immigrati, basti pensare al gran lavoro svolto dalle missioni cattoliche italiane. Per i clandestini proponiamo qualcosa di simile ma adeguato alla situazione: centri di ascolto dove i sans-papiers possano trovare consigli, aiuto, assistenza sanitaria, mantenendo l’anonimato e senza il rischio di essere denunciati. In questo modo potremmo aiutare un gran numero di essi a intraprendere le pratiche per la regolarizzazione”.
La parrocchia di San Paolo a Friburgo si era divisa sui clandestini. Anche il Paese è così diviso su questo dramma?
“Purtroppo c’è una ferita nel nostro Paese. Questa ferita è il segno della difficoltà a vivere il cristianesimo come fraternità, accoglienza, apertura all’altro. Ma sappiamo anche che nessuno può pretendere di avere il monopolio del buon cuore. Nella società civile, poi, bisogna affrontare la sfida di tradurre le nostre aspirazioni, i nostri valori, nella legge civile. E’ una sfida che come cristiani non possiamo eludere”.
Ignazio Ingrao