Ex Jugoslavia
e Afghanistan,
la tragedia si ripete. Intervengono il vescovo
di Banja Luka,
Franjo Komarica
e Maria Rita Saulle
“No, qui la guerra non è arrivata ma i danni che ha causato li stiamo subendo ancora. I cattolici sono stati cacciati via in massa, in seguito alla politica di pulizia etnica perseguita dai serbo-bosniaci durante il conflitto. Ricordo che in un’intervista alla tv, Karadzic, leader delle milizie serbe, ha detto che nessun cattolico croato doveva restare dentro i confini. E così degli 80 mila cattolici che si contavano nella mia diocesi, ne sono rimasti circa 6 mila. E di quegli 80 mila, ne sono ritornati ad oggi, appena 1.500“. A parlare è mons. Franjo Komarica, il vescovo di Banja Luka (Bosnia) che a 5 anni dalla fine del conflitto balcanico, conta ad uno ad uno il numero dei profughi fuggiti dalla sua diocesi e mai ritornati nelle loro case. “In maggioranza dice sono andati in Croazia, gli altri sono sparsi all’estero. Hanno voluto sradicare i cattolici dalla Bosnia”.
Da allora, il vescovo non ha mia cessato di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e della comunità internazionale sulla situazione. “Chiediamo per i cattolici afferma un sostegno concreto che sia al tempo stesso politico, legale e materiale”. Il problema, dice il vescovo, è che sul campo, “ognuno va per conto suo” e non c’è concertazione. “Siamo testimoni aggiunge che la situazione si è cristallizzata e può scatenare una nuova guerra. Non ci si sta rendendo conto che in questo modo si sta attuando un gioco perfido che nei fatti punisce i più deboli, i profughi. Perché lo fanno? Perché punire le vittime della guerra e premiare gli aggressori? E’ stata compiuta un’ingiustizia e la gente vive con odio e senso di vendetta. Sono sentimenti che possono trasformarsi in terrorismo. Qui è stata negata la dignità dell’uomo. E’ stato negato il diritto a vivere sulla terra in cui si è nati. E’ stata negata l’identità delle persone, obbligando migliaia di uomini e donne a vivere da stranieri”. Mons. Komarica si appella all’Europa: “Cosa dobbiamo fare ancora per essere ascoltati?”.
In realtà il vescovo ha già fatto molto: si è più volte recato al Parlamento europeo, ha lanciato appelli e dichiarazioni alla stampa. In agosto ha preso la parola al Meeting di Rimini di Cl. “Non ci rassegneremo mai ribadisce fino a che ci saranno uomini a cui sono stati negati diritti e dignità. Se diciamo e crediamo che Dio è amore, spetta a noi testimoniarlo nell’amore ad ogni uomo. Non ho perso la speranza ed ogni giorno, con i miei collaboratori, lavoriamo per eliminare le cause della distruzione che ha minato e ferito a morte la nostra terra”.
Abbiamo chiesto un parere a Maria Rita Saulle. docente di Diritto internazionale all’Università di Roma “La Sapienza” e membro della Commissione per i reclami sui beni dei profughi e dei rifugiati della Bosnia Erzegovina. La situazione vissuta in Bosnia richiama quella in atto dell’Afghanistan. “ Si impiega mezz’ora a distruggere un paese con missili più o meno intelligenti afferma Saulle – ma ci vorranno 50-60 anni per ricostruirlo“. Famiglie distrutte e smembrate a causa della guerra: la Bosnia, osserva la docente, “impiegherà, per lo meno ancora 20 o 30 anni, per essere ricostruita”. “Questa prosegue – è in sintesi la situazione di Sarajevo e questa situazione si riprodurrà a sua volta, in Afghanistan”. Riferendosi agli attacchi statunitensi e britannici in Afghanistan, Saulle commenta: “L’attentato subito dagli Stati Uniti è stato gravissimo e le vittime innocenti sono state tantissime ma la reazione non sarà proporzionata sicuramente al danno subito. Già quello che si sta vivendo, fa pensare che l’azione prevista in base all’art. 5 del Patto Atlantico superi i confini dello stesso articolo. Un attacco militare per quanto condotto con attenzione chirurgica, comporta sempre vittime civili, distruzioni di massa e di territorio. Nessuna forma di attacco militare garantisce successo immediato e scarsità di vittime”. La docente ricorda ancora l’esperienza dei Balcani: “Ci sono voluti due anni, la distruzione di intere città e l’uccisione involontaria di civili per ottenere il risultato di portare Milosevic all’Aja”. “Ogni azione militare oggi ha concluso Saulle – che dovrebbe essere commisurata secondo l’articolo 5 del Patto Atlantico all’offesa subita, rischia di oltrepassare i limiti e di suscitare anche maggiore rancore da parte dell’avversario che non si sa poi con quali mezzi reagirà”.
Maria Chiara Biagioni