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Pietro e i suoi successori ” “"fanno corpo insieme alla Chiesa": ” “è la "colleggialità episcopale", ” “afferma il vescovo ” “di Angoulême” “” “” “
Dal 30 settembre, sei vescovi francesi sono a Roma per la X Assemblea Ordinaria del Sinodo dei vescovi: il cardinale emerito Jean Honoré, mons. Maurice Gaidon, vescovo di Cahors, mons. Claude Dagens, vescovo di Angoulême, mons. Olivier de Berranger, vescovo di Saint-Denis, mons. Georges Gilson, arcivescovo di Sens-Auxerre, mons. Jean-Pierre Ricard, vescovo di Montpellier. Abbiamo intervistato mons. Claude Dagens , per fare il punto sullo svolgimento dei lavori, giunti ormai alla redazione delle proposizioni finali.
Il ministero episcopale è eminentemente personale, sia per la chiamata ricevuta dal vescovo che per il mandato pastorale. Che ruolo riveste la collegità episcopale?
“Nella Chiesa Cattolica il principio personale è fondamentale. È il dialogo tra Gesù e ognuno dei suoi apostoli. E questo vale particolarmente nel caso di Pietro, che gode di un privilegio. Se siamo diventati degli apostoli, è perché, in un modo o in un altro, siamo entrati in un dialogo personale con il Signore, Gesù morto e risorto. Nel cuore del nostro ministero, così com’è stato per Paolo, siamo chiamati a conoscerlo. Ma questa relazione con gli apostoli è anche comunitaria. In altre parole, collegiale. Egli chiama i Dodici dopo aver pregato per un’intera notte. Dà ad alcuni tra loro dei nomi nuovi. E li costituisce insieme come un corpo vivo. Noi diciamo oggi ‘un collegio’, in cui Pietro e i suoi successori, con gli apostoli e i loro successori, fanno corpo insieme con la Chiesa universale per essere quella Chiesa che vive di Cristo e lo annuncia al mondo. Si tratta della duplice relazione degli apostoli con il mondo e con la Chiesa. E’ il corpo apostolico che chiamiamo collegio, secondo la grande tradizione rinnovata dal Concilio Vaticano II quando afferma la collegialità dell’episcopato”.
Questo aspetto è emerso nel corso del Sinodo?
“Ho ascoltato le testimonianze, delle prove in particolare, delle lotte, delle sofferenze di tanti vescovi nel mondo. Storie ed esperienze che hanno ripercussioni su ciascuno di noi. Attraverso la testimonianza di questi uomini che sono vescovi in altre parti del mondo, avvertiamo l’eco di noi stessi su questo terreno profondo. Un’esperienza della croce che passa per i nostri corpi personali e per il corpo della Chiesa: la collegialità episcopale che si esercita nel corso del Sinodo permette di verificarlo”.
Talvolta i fedeli soffrono il sovraccarico di lavoro dei loro vescovi. Come premunirsi contro il rischio dell’eccesso nello svolgimento di funzioni amministrative?
“Ammetto che possono esserci delle derive e dei sovraccarichi. Può esistere una tendenza alla pura e semplice gestione degli affari. È evidente che, se è così, la cosa è insostenibile. Questa non è la logica del Vangelo. Un vescovo ha per vocazione di tenersi dalla parte del cuore della Chiesa. L’irradiamento di quel cuore passa attraverso i limiti di quel pover’uomo che è un vescovo. E la nostra più grande gioia, la nostra più grande libertà, è di comprendere che siamo attesi, non come dei tecnocrati ma come dei testimoni di Cristo”.
Può riassumere qual è, a suo avviso, la missione del vescovo?
“La missione dei vescovi consiste nel gettare dei ponti, collegare le fondamenta della Chiesa, sempre da consolidare, e la Chiesa dello Spirito, la Chiesa palpitante di cuore. Un vescovo ha sempre una grande sollecitudine nel suo cuore affinché non ci siano mai due Chiese: una Chiesa della struttura e una Chiesa del cuore. Da una parte, la Chiesa della fede, della preghiera e dei sacramenti e, dall’altra, la Chiesa dell’impegno sociale, della lotta per la giustizia. È la stessa Chiesa che vive a partire dalla passione di Cristo, attraverso il dono dello Spirito Santo”.
Maryvonne Gasse – Parigi¤