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Il campo ” “di concentramento ” “ha ospitato una grande manifestazione ” “per la pace promossa dalla Chiesa tedesca” “” “” “
Si sono concluse domenica 28 ottobre con una festa commemorativa ecumenica nell’ex campo di concentramento di Dachau, alle porte di Monaco, le celebrazioni a chiusura del mese missionario mondiale, che ha avuto come motto “Imparare la pace”. Sono intervenuti testimoni provenienti da Paesi in guerra, tra cui il vescovo Carlos Filipe Ximenes Belo di Timor Est, premio Nobel per la pace, l’arcivescovo Jaime Pedro Goncalves, dal Mozambico, Paul Nabil Sayah, arcivescovo maronita di Haifa, il vescovo Bechara Rai dal Libano e il vescovo Gaspard Mudiso dal Congo. Abbiamo raggiunto a Monaco Michael Krischer , coordinatore di Missio, opera internazionale cattolica della Chiesa bavarese, che ha curato l’evento.
Cosa significa oggi tenere una manifestazione con questo motto, “Imparare la pace” in un campo di concentramento?
“Il campo di concentramento di Dachau, che si trova vicino Monaco, è stato scelto perché è un simbolo ed è un invito, proprio per la popolazione tedesca, a ripensare alla propria storia, a non dimenticare quello che nel passato, a Dachau, era successo, ed abbiamo voluto per questo la testimonianza di sopravvissuti; inoltre abbiamo voluto anche richiamare il documento dei vescovi tedeschi ‘ Gerechter Friede‘ (la pace giusta), che invita a non dimenticare e dove viene detto che “la giustizia crea la pace”. Ecco, credo che questo invito possa essere ritenuto oggi. E’ stato il punto centrale di questa manifestazione: l’invito dei vescovi e della Chiesa ad accogliere la pace”
Quale è stato il criterio di scelta degli ospiti?
“Gli ospiti che abbiamo avuto provengono da tutte le parti del mondo, ma quello che li accomuna è il fatto di provenire da Paesi in cui c’è una grave situazione di crisi, dove non c’è pace”.
Cosa può dirci in merito ai loro interventi?
“Abbiamo voluto che ognuno di loro portasse la propria testimonianza di pace da un paese in guerra davanti ai credenti tedeschi. Ad esempio il vescovo Ximenes Belo viene da Timor Est, dove c’è una situazione di forte conflitto, e dove Missio, che sostiene gli sforzi della Chiesa per la pace nel mondo, ha finanziato un progetto; il vescovo Sayah viene invece dalla Palestina, Paese in guerra perenne, dove non potrà esserci pace fino a che ci sarà occupazione. Anche i Palestinesi hanno diritto ad abitare nei loro paesi, nelle loro case”.
Che spazio può avere oggi il movimento pacifista in Germania e nel mondo?
“La sua forza come movimento in generale è senz’altro ridotta rispetto a quello che aveva una ventina di anni fa o addirittura ai tempi della guerra del Vietnam. Allora era molto più attivo, adesso ha un ruolo molto più ristretto. E’ più difficile parlare oggi di un movimento pacifista, perchè la sua forza è sicuramente diminuita. Sta promuovendo azioni più mirate rispetto a quelle che avrebbe potuto fare in passato. Ad esempio, in periodi recenti ci sono stati gli interventi in Bosnia, in Kossovo, in Albania. Ma questo non vuol dire che non ci sia gente che oggi vuole la pace”.
Quale ruolo può giocare la Chiesa nel processo di pace?
“Sicuramente importante. Alle manifestazioni come quelle promosse in questi giorni dalla Chiesa e dai vescovi, alla marcia per la pace, alla messa, alla visita a Dachau, che pure erano per le missioni, hanno partecipato persone che, come noi, vogliono fortemente la pace”.
Patrizia Collesi