editoriale" "
"Nel rispetto ” “dei diritti umani, ” “il segreto ” “della pace vera"” “” “” “
In un’era tempestata da messaggi, anche mediatici, provenienti da più parti è possibile che alcuni di questi, pure di eccezionale spessore, tendano a scomparire, sopraffatti da novità non sempre altrettanto costruttive e significative che vi si sovrappongono. E’ questa una delle considerazioni che chi scrive è stata portata a fare tra sé nel corso della 31ª Conferenza generale dell’Unesco che si tiene a Parigi nella sede dell’Organizzazione a partire dalla seconda metà di ottobre fino ai primi di novembre.
In effetti sul finire degli anni ’80, proprio nelle stesse sale è più volte rimbalzata la richiesta di alcuni Stati, allora denominati Paesi del Terzo Mondo e poi Paesi in via di sviluppo (Pvs) di avere accesso alle nuove tecnologie allo scopo di beneficiare di maggiori informazioni e, addirittura, di creare un “Nuovo Ordine Mondiale dell’Informazione e della Comunicazione” (Nomic). Si è trattato di una proposta insolita per quei tempi, osteggiata per ragioni diverse degli Stati Uniti i quali hanno tratto spunto da essa per abbandonare l’Organizzazione senza più farvi ritorno. Si è ritenuto, allora da parte dei Pvs che l’accesso alle nuove tecnologie dell’informazione avrebbe garantito loro ogni progresso: anche quello economico e sociale che, appena intravisto negli anni ’60, gli anni della decolonizzazione, stentava ad arrivare e, forse, non sarebbe mai giunto. Si è trattato, ovviamente, di una mera illusione.
Oggi, nelle stesse sale, con l’assenza degli Stati Uniti, dopo il tragico evento dell’11 settembre i toni appaiono più blandi e smorzati, come se ci fossero nuove consapevolezze: si parla di pace, di povertà e di risorse idriche carenti. Ma sbaglierebbe chi pensasse ad un discorso tecnico-scientifico: le parole più ripetute, forse eccessivamente ripetute sono “pace” ed “etica”, da applicarsi all’acqua, allo spazio, alla biomedicina oltre che alle risorse alimentari. Un’etica che, tralasciando e superando ogni teorico formalismo giuridico, dovrebbe essere alla base di ogni norma. E la norma dovrebbe, poi, essere applicata perché, finalmente, ogni popolo, ogni persona, ogni gruppo possano divenire titolari dei propri diritti ed essere in grado di esercitarli. E’ un linguaggio diverso rispetto a quello degli anni ’80: è più cauto, attento, rigoroso, indubbiamente meno retorico. Si promette solo ciò che si spera di poter mantenere, senza enfasi. Ognuno, a titolo privato, pensa, forse, a che cosa sarebbe accaduto se anche nel passato si fosse dato più rilievo al “diritto alla pace” caldeggiato come diritto individuale proprio dall’Unesco: se anziché dedicarsi esclusivamente ad una discussione teorica pur sempre interessante si fosse abbinato tale diritto alla necessità immediata e concreta di soddisfare bisogni elementari dei popoli meno ricchi, vale a dire alla lotta contro la povertà, contro l’analfabetismo, le malattie, in breve, il sottosviluppo. Oggi, finalmente, appare a tutti chiaro anche al di fuori delle sedi delle Organizzazioni internazionali, a livello mondiale – come l’Onu e l’Unesco – e regionale come il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea -, che la cultura della pace, applicata alla realtà impone a tutti sacrifici, modelli nuovi, limiti all’egocentrismo di Stati, di individui e gruppi. La cultura e la pratica della pace impongono la prevenzione dei conflitti, la quale, a sua volta, richiede la creazione di situazioni di non eccessiva disparità economica tra i popoli e gli individui.
Ripensando al messaggio per la pace lanciato dal Papa nel 1999, “nel rispetto dei diritti umani, il segreto della pace vera”, si può dire che esso, in questa contingenza, ha evidenziato il suo valore e significato. La guerra difatti determina la sospensione dell’esercizio di tutti i diritti: civili e politici, economici, sociali e culturali, la povertà interrompe o nega addirittura l’esercizio dei diritti economici, sociali e culturali. Oggi, finalmente, tutti riconoscono che solo l’interconnessione dei diritti – che includono naturalmente anche quelli alla tutela dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile può garantire una vita decorosa ai singoli ed ai gruppi ed essere un mezzo di prevenzione dei conflitti. Ripensare alla pace, in termini concreti, può dunque implicare limitazioni e sacrifici. Ma questi rappresentano ben poca cosa di fronte alle perdite di vita da parte di innocenti, alle distruzioni delle civiltà: ferite difficilmente rimarginabili e che, ormai nel mondo globalizzato, colpiscono indiscriminatamente tutti i popoli e tutti gli individui.