“Contro l’intolleranza”. Si intitola così un editoriale firmato da Michel Kubler su La Croix del 30/10, all’indomani della strage di cristiani nella chiesa di Bahawalpur, in Pakistan. Secondo l’editorialista , “il massacro di cristiani pakistani ad opera degli islamisti (…) rivela una forza doppiamente simbolica. Prima di tutto perché, da una parte e dall’altra, si tratta di credenti: i primi sono stati uccisi a causa della fede, nel momento in cui celebravano il loro culto. Per di più le vittime, protestanti, erano stai accolti in una chiesa cattolica, e hanno potuto essere assassinati perché confusi con quelli che li ospitavano: questo nobile esempio di ospitalità ecumenica sarebbe, dunque, all’origine della loro tragica sorte”. In un simile contesto, fa notare Kubler, la tentazione di trasformare tutto in un conflitto tra religioni “è grande”, e molti Occidentali cadono nella trappola, “troppo contenti di vedervi un argomento per il loro risentimento anti-musulmano“. Come reagire, dunque? “Riportando le cose alla loro realtà, e non ai nostri fantasmi”, è la risposta. Una “maniera supplementare” di reagire, si legge ancora nell’editoriale, è quella raccomandata anche da Giovanni Paolo II di “rispondere all’intolleranza con uno sforzo di conoscenza: approfondire la nostra comprensione delle religioni per stabilire tra di esse un dialogo degno di questo nome”.
“La condotta della guerra allarma l’Europa”, titola in prima pagina Le Monde del 31/10, che sottolinea come i Quindici “esprimono la loro inquietudine” e “si interrogano sulla strategia americana in Afghanistan”. Sempre in prima pagina, il quotidiano francese ospita un’inchiesta sul proselitismo islamico nelle regioni francesi, e rivela: “Gli islamisti radicali coinvolti in reati di terrorismo approfittano della loro detenzione per reclutare adepti“. La testimonianza anonima di un detenuto francese, di origine algerina, incarcerato per reato comune, sintetizza in questi termini la “strategia di reclutamento” adottata dagli islamici: “Pressioni sui detenuti più deboli, logoramento attraverso una pratica rigorista dell’islam, indottrinamento antisemita e anti-occidentale tramite la circolazione di cassette e libri vietati”. Di una “nuova fase” nell’offensiva militare americana in Afghanistan parla Joseph Fitchett sull’ Herald Tribune del 31/10, che informa che “il primo obiettivo” è la cattura di Mazar-i-Sharif, “una città strategicamente situata nell’Afghanistan settentrionale vicino al confine con l’Uzbekistan (…). Il Pentagono ha accuratamente evitato di offrire qualsiasi programma pubblico per prendere il controllo delle principali città del nord dell’Afghanistan”.
“Crisi da paura: psicologia di una recessione” è l’inchiesta che dà il titolo allo Spiegel del 29/10. Tra i servizi l’intervista di Michaela Schiessl al Premio Nobel Milton Friedman nella quale l’economista afferma: “la guerra è amica dei governi. In periodi di guerra cresce la forza dei governi, che entrano di più nell’economia” e ancora “gli uomini d’affari sono i nemici di una società libera, ogni impresa è un grosso pericolo per i governi, che alla fine esse utilizzano per i propri fini.” Sul problema dei profughi si interroga invece il giornalista Dirk Kurbjuweit nell’articolo “La battaglia dei buoni” dove racconta la lotta quotidiana dei soccorritori per portare gli aiuti umanitari ai profughi afghani.
La Frankfurter Allgemeine Zeitung del 27/10 dedica al Sinodo dei vescovi, dopo la sua conclusione, un editoriale di Heinz-Joachim Fischer dal titolo “Una tranquillità totalmente consapevole“, secondo il quale emergerebbe una certa insoddisfazione dei vescovi tedeschi e secondo il quale il card. Lehmann, riassumendo le impressioni del Sinodo, dice di “essere diventato più prudente”. “Più prudente nel suo giudizio in merito al fatto che i bisogni, i desideri di riforma e le rimostranze di una Chiesa nazionale non siano quelli di un’altra, anzi che spesso questi non sarebbero capiti in un altro continente… Questo vuol dire, tradotto in tedesco, che ciò di cui si lamentano i cattolici di lingua tedesca, nella Chiesa universale viene misurato con criteri più neutri” . “Ma se si parla in maniera riservata con i responsabili della Chiesa o con le autorità vaticane prosegue l’editorialista – viene fuori che ci si affanna per risolvere i problemi e che qualche idea per la loro soluzione si riesce a portarla via con sé” . D’altra parte per Fischer “ai cardinali e ai vescovi è sufficiente la sensazione che sotto Giovanni Paolo II la nave della Chiesa abbia trovato il giusto corso”. ¤