Lasciarsi interrogare dagli eventi” “

” “Dall’Afghanistan ” “giungono poche notizie e molta propaganda: cambia il modo di ” “raccontare i conflitti ” “” “


La prima guerra che è entrata in diretta Tv è stata la guerra in Vietnam. Poi con il conflitto armato in Iraq – che ha decretato il successo mondiale della Cnn – si è parlato addirittura di “spettacolarizzazione della guerra”. Dopo i Balcani qualcosa è cambiato. E in Afghanistan, il mestiere dell’inviato è diventato addirittura impossibile. Poche notizie, fonti inattendibili, pericolo di strumentalizzazioni. E chi cerca di saperne di più, rischia la vita. E’ successo a tre giornalisti (due francesi ed un tedesco) qualche giorno fa. Ne abbiamo parlato con Jean Bianchi , esperto di comunicazione e docente all’Università Cattolica di Lione.

Cosa la colpisce dell’informazione che ci sta arrivando dall’Afghanistan?
“La copertura mediatica degli avvenimenti è stata fino ad oggi molto deludente soprattutto per la scarsa possibilità di accesso dei giornalisti sul campo. L’informazione ci arriva infatti per lo più da corrispondenti in Pakistan che dispongono di notizie provenienti da fonti non sempre attendibili e che danno un’immagine poco esatta di quello che realmente sta accadendo in Afghanistan. Il problema è che quando i media non hanno notizie né fonti, continuano comunque ad esserci. E allora, in mancanza di veri e propri reportage, si fa ricorso agli esperti oppure ai giornalisti più veterani che nel passato sono stati in Afghanistan, ma che oggi vivono a Parigi o a Roma. E’ dunque un’informazione che dice poco di quello che succede sul campo e dà spazio agli approfondimenti. Certamente non sono riflessioni inutili perché fanno memoria della storia recente del Paese ma certo non garantiscono una copertura esatta dell’attualità”.
C’è una grande differenza con quanto è avvenuto in l’Iraq…
“Bisogna dire che non è la stessa guerra. Non ci sono gli stessi attori, non si utilizzano gli stessi mezzi militari. E bisogna anche considerare che i giornalisti sono diventati un po’ più prudenti e critici. Professionalmente parlando, i conflitti armati sono gli avvenimenti più difficili da seguire. Sul campo ci sono le operazioni militari e le strategie diplomatiche i cui attori e responsabili non sempre hanno voglia o comunque possono dire tutto quello che sanno e fanno. Ma in guerra c’è un terzo teatro di azione ed è quello dei media nel quale intervengono militari, politici e addirittura terroristi per dire cose affinché vengano sapute (e questa è propaganda) o per lanciare delle esche, notizie cioè che sono verosimili ma false, per depistare l’attenzione”.
Perché allora – se è così difficile – vengono mandati sul campo i giornalisti più giovani e gli esperti rimangono a casa?
“Non sarei così severo con il giudizio. Direi piuttosto che ci sono molti giovani giornalisti – e io li comprendo – che hanno voglia di andare sul campo. Perché pensano che andare a vedere quello che realmente sta accadendo sia la parte più interessante del loro mestiere. I giornalisti francesi e tedeschi che sono morti in Afghanistan erano davvero gente appassionata del proprio mestiere. Il sistema mediatico è ricco di persone che hanno dignità e coraggio e sono pronte a rischiare la vita. Chi rimane a casa ed ha esperienza di inviato alle spalle può comunque aiutare a discernere le esche e le forme di propaganda”.
Un suo consiglio ai giornalisti ed uno ai lettori…
“Quando i giornalisti hanno poco in mano, sono tentati di immaginare il futuro, di dare cioè anticipazioni arrischiate senza lasciarsi invece interrogare con umiltà dai fatti. Comprendere il senso di quello che succede è un lavoro faticoso ma non ci sono alternative: il giornalismo che si lascia prendere – per mancanza di notizie – dall’arte di indovinare o dal gioco intellettuale, è pericoloso. Il lettore, invece, ha la difficoltà di trovarsi di fronte ad una massa di informazioni. E’ importante allora che sappia salvaguardare sempre lo spirito critico su ciò che legge e vede. Dovrebbe cioè sempre porsi delle domande, confrontare ciò che sente e vede a ciò che già sa e chiedersi se le notizie che sta ricevendo sono soddisfacenti per un’informazione seria”.
Maria Chiara Biagioni