guerra e media" "

Morire per la verità ” “” “

Ancora vittime tra i ” “giornalisti inviati in Afghanistan. Tra questi il corrispondente del quotidiano spagnolo ” “"El Mundo", Julio Fuentes. Abbiamo ” “chiesto un ricordo ad un suo collega ” “” “

Presidente dell’Associazione stampa estera in Italia, che riunisce a Roma circa 500 giornalisti di tutto il mondo, e corrispondente di “Antena 3 Television”, lo spagnolo Antonio Pelayo è convinto che la prima vittima del conflitto in corso sia la verità; viceversa “l’informazione è un diritto primario perché su di essa si fonda la costruzione dell’opinione pubblica, pietra angolare di ogni sistema democratico”. Dopo le testimonianze e le opinioni di Rémi Sulmont e Jean Bianchi (cfr Sir Europa n.7/2001), e alla luce delle recenti imboscate di cui sono state vittime diversi giornalisti in Afghanistan, tra cui l’inviata del Corriere della Sera, Maria Grazia Cutuli, e il corrispondente del quotidiano spagnolo “El Mundo”, Julio Fuentes, abbiamo raccolto anche il parere di Pelayo.

Come le sembra rappresentata dalla stampa la crisi internazionale?
“L’informazione, in generale, si sofferma per lo più sugli aspetti prettamente bellici e sulle iniziative diplomatiche, certamente importanti, ma relega in secondo piano la società civile, il dramma di tante persone”.
E’ giusto diffondere i proclami di Bin Laden e dei suoi collaboratori?
“Nel mio Paese facciamo quasi quotidianamente i conti con l’emergenza terrorismo e l’opportunità dell’informazione al riguardo è stata per anni oggetto di dibattito: sono assolutamente convinto che le notizie non si debbano mai nascondere; la censura e l’autocensura scivolano facilmente verso la disinformazione mentre la gente ha, in ogni circostanza, il diritto di essere informata. Si tratta di farlo in modo responsabile e costruttivo senza sensazionalismi o allarmismi inutili, ricercando la verità e spiegando le cause e le conseguenze degli avvenimenti. Una grossa sfida, in particolare su materie delicate come il terrorismo e la guerra che richiedono l’impiego di codici etici e deontologici che ogni buon giornalista dovrebbe avere sempre ben presente”.
Intanto il conflitto continua a mietere vittime nel mondo dell’informazione; tra le ultime anche un suo connazionale…
“Conoscevo Julio Fuentes, un uomo appassionato e inquieto, con un grande entusiasmo per il suo lavoro, divorato dall’ansia di essere sempre in prima linea: America Latina, Cecenia, Bosnia e adesso Afghanistan. La scelta, maturata a vent’anni, di andare sempre fino in fondo senza lasciare nulla di intentato, soprattutto in una guerra come questa dove, in mezzo alle poche notizie spesso contraddittorie e manipolate, è realmente difficile raccontare la verità”.
Ma vale la pena correre tanti rischi?
“Nessuno chiederebbe ad un missionario in Africa o in Asia se ha paura o se è consapevole dei pericoli che corre nello svolgimento della sua attività perché la risposta positiva sarebbe scontata; del resto è proprio la paura che salvaguarda, che rende coraggiosi, ma non incoscienti o temerari. Anche quella giornalistica è una vocazione, e i professionisti caduti sul campo, e non saranno purtroppo gli ultimi, hanno vissuto questa missione fino in fondo pagandone con la propria vita il prezzo più alto”.
Quale messaggio lasciano con il loro sacrificio?
“Esistono diversi modi di essere inviati di guerra: qualcuno si accontenta di scrivere dalla hall di un albergo pezzi ben confezionati e ricchi di colore; qualcun altro va alla spasmodica caccia di scoop; qualcun altro ancora, con onestà, umiltà e passione affronta invece la fatica della ricerca, dell’approfondimento e della continua verifica. Morire nelle pieghe della guerra al servizio della verità è una coraggiosa testimonianza di fede nel valore di un’informazione libera e indipendente che rende liberi contro la forza bruta del terrorismo; un appello ai diritti umani, alla democrazia e alla civiltà”.
Giovanna Pasqualin Trasversa