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Un azione di “tutoring” durata 7 anni tra i giovani della Gioc (Gioventù operaia cristiana) di Torino e Bratislava, in Slovacchia, ha permesso di creare, nelle comunità ecclesiali, un’attenzione al mondo del lavoro. Qui la disoccupazione giovanile raggiunge cifre altissime (36%) ed è in continuo aumento. “Ora abbiamo gruppi in cinque città – racconta Lujza Rochova, 27 anni e coinvolgiamo una quarantina di giovani. I disoccupati ricevono un sussidio dallo Stato che equivale quasi ad uno stipendio mensile. Per questo tanti giovani sono in attesa di lavori più remunerativi”.
Anche se i dati della disoccupazione giovanile non sono eccessivi (5-6%) in realtà in Portogallo i problemi sono dovuti alla precarietà, alla flessibilità e alle difficoltà nel trovare un lavoro che corrisponda agli studi fatti. Claudia Ventura, 30 anni, membro del Consiglio nazionale della pastorale del lavoro, pensa che “l’Europa sarà un opportunità, ma bisogna educare i giovani al cambiamento e a lavorare insieme. Finora c’è stata poca informazione su questi temi”.
In Italia, dove la disoccupazione giovanile raggiunge cifre del 30% nelle zone del Sud, i problemi maggiori sono la disparità tra aree geografiche e il lavoro nero. Qui la Gioc raggiunge 4-5.000 giovani attraverso un migliaio di militanti, soprattutto al Nord. “Contattiamo i giovani nei quartieri popolari, nelle parrocchie spiega Franco Giampalmo, 30 anni e li incoraggiamo a curare la formazione professionale, dando indicazioni su come muoversi per trovare un’occupazione o cercando di far capire loro l’importanza dell’impegno sul posto di lavoro e nei sindacati”.
In Spagna la Gioc (2.500/3000 aderenti) ha portato avanti una campagna nazionale sulla flessibilità, per scoprire come questa influisca sulla vita dei giovani, avvicinando i coetanei per strada o nelle scuole. La disoccupazione giovanile è al 13-14%, ma il 70-73% dei contratti sono a tempo determinato. “Abbiamo scoperto che la precarietà dei lavori temporanei sta distruggendo la vita delle persone e delle famiglie osserva I ñ igo Aramendi, 30 anni -. I giovani sono insicuri, vivono ancora con i genitori oltre i 30 anni, hanno paura di perdere il posto di lavoro”. Iñigo non crede che una maggiore unità europea risolverà molti problemi: “Se il sistema rimarrà lo stesso ma con un nome diverso, le cose non cambieranno”.