guerra e media" "

Nuove tecnologie e vecchi pericoli” “

” “Cambia il mestiere di corrispondente di ” “guerra: il caporedattore del Daily Telegraph commenta le notizie dall’Afghanistan” “” “


Cento anni fa Luigi Barzini fece quaranta ore a cavallo per assicurarsi che il suo resoconto sul conflitto russo-giapponese passasse le maglie della censura e arrivasse sano e salvo al “Corriere della Sera”. Oggi gli inviati in Afghanistan sollevano il telefono satellitare e in pochi minuti il suono della voce e le immagini di guerra arrivano in Occidente. Abbiamo chiesto ad Anton La Guardia – padre italiano, madre filippina, caporedattore agli esteri del “Daily Telegraph”, il più diffuso quotidiano britannico di opinione – di spiegarci come è cambiato il mestiere di corrispondente di guerra alla luce di quanto sta accadendo in Afghanistan.

Per i giornalisti, la guerra in Afghanistan è diversa da quelle del passato?
“La novità più rilevante degli ultimi dieci anni è la messa a punto di una tecnologia sofisticata che permette al giornalista di trasmettere subito la cronaca di quanto sta accadendo senza doversi servire dei mezzi messi a disposizione da un esercito o da un governo”.
In questo modo le corrispondenze di guerra sono più fedeli alla realtà?
“L’oggettività del giornalismo, come sappiamo, è solo un’ipotesi. Si può tentare di essere onesti e di avvicinarsi il più possibile alla realtà, fare un resoconto di quello che è successo tenendo conto di tutti gli aspetti, inserire quello che sta capitando in un quadro più ampio. Non sappiamo nulla, per esempio, di quello che sta accadendo ai talebani, possiamo contare soltanto sul punto di vista delle forze alleate”.
C’è il rischio che con l’aumento della quantità di informazione diventi più difficile capire che cosa stia realmente succedendo?
“Non sempre vi è chiarezza e l’inglese usa infatti l’espressione ‘fog of war’, ovvero ‘nebbia di guerra’ per dire che in guerra è sempre difficile capire che cosa stia succedendo. Penso che tutto sommato più informazioni ci sono e meglio è per il giornalista. Le nuove tecnologie, Internet per esempio, aiutano molto in questo senso”.

Sono già morti nove giornalisti. Crescono i pericoli per i corrispondenti di guerra?
“La guerra del Golfo senza dubbio era più sicura per i giornalisti perché era una guerra fatta di bombardamenti. Il conflitto nella ex Jugoslavia, soprattutto all’inizio, ha visto morire alcuni colleghi. L’Afghanistan è ancora più pericoloso perché sparano proprio sui giornalisti, anche solo per prendere soldi e attrezzature”.
Alcuni colleghi prendono rischi eccessivi?
“Penso di no, perché la vocazione del giornalista è quella di cercare la notizia, stare sul posto, fare da testimone. Quando il fronte di una guerra è statico, esistono i nemici e questi sono definiti nelle loro posizioni, il giornalista si trova in una posizione più sicura. Mentre quando tutto è in movimento, come in Afghanistan, la situazione è assai più pericolosa. I giornalisti non cercano il pericolo, cercano la notizia e spesso si rendono conto soltanto dopo che quella strada o quel ponte erano pericolosi. E’ capitato anche a me di sopravvivere a un agguato e di capire dopo che era stato troppo rischioso trovarsi in quel posto. Ma prima non me ne ero reso conto”.
Bin Laden ha fatto uso propagandistico dei media. Pensa che giornali e televisioni occidentali si siano fatti strumentalizzare?
“E’ interessante che Bin Laden si sia servito di Al-Jazeera, una televisione che è una specie di Cnn araba, indipendente dal controllo del governo. Anche in questo caso si nota la diminuzione di importanza del potere politico. Una cosa del genere sarebbe stata inimmaginabile ai tempi di Khomeini e il gioco propagandistico è stato capito dagli americani che si sono affrettati a trovare un ambasciatore che parlasse arabo e ogni giorno fanno fare al loro ministro della difesa Donald Rumsfeld un aggiornamento sulla situazione che suona anch’esso come un atto di propaganda. Insomma i media, sia su un versante che sull’altro della guerra, sono più liberi e il potere politico tenta di strumentalizzarli, come capita sempre”.