editoriale" "

Un’ingiustizia e un errore” “

Occorre aprire nuovi spazi di confronto ” “tra le Chiese e l’Unione europea, afferma ” “mons. Attilio Nicora” “” “” “” “

“La marginalizzazione delle religioni, che hanno contribuito e ancora contribuiscono alla cultura e all’umanesimo dei quali l’Europa è legittimamente fiera, mi sembra essere al tempo stesso un’ingiustizia e un errore di prospettiva”, ha osservato il Papa nel discorso rivolto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, lo scorso 10 gennaio. Le parole del Pontefice hanno suscitato numerosi interventi: “Nessuno è escluso dal processo di costruzione dell’integrazione europea”, ha tenuto a precisare il presidente della Commissione europea, Romano Prodi. Per l’ambasciatore Sergio Romano, intervenuto sul Corriere della Sera (11 gennaio), le costituzioni, compresa quella europea, “non dovrebbero essere documenti filosofici” ma limitarsi a definire strutture, compiti e regole delle istituzioni. Abbiamo chiesto un commento a mons. Attilio Nicora , delegato della Presidenza della Cei per le questioni giuridiche e vicepresidente della Commissione degli episcopati della comunità europea (Comece).

Da più parti si dubita che il lavoro della Convenzione decisa nell’ultimo vertice di Laeken possa produrre una Costituzione alla “italiana” o alla “tedesca”, perché è noto che le posizioni inglesi e quelle del mondo scandinavo non sono molto inclini a questi modelli. Potrebbe essere più probabile una “rimanipolazione” del complesso dei trattati con una messa in risalto di alcuni elementi ritenuti primari e in qualche modo fondanti, affinché emerga una specie di gerarchia di valori negli elementi che identificano l’Unione. Se si vuol rimanere in questa seconda prospettiva il problema si sdrammatizza, ma non mi pare che il tema dei valori debba rimanere solo sullo sfondo e che il documento che uscirà dalla Convenzione debba limitarsi ad aspetti di tipo organizzativo-funzionale. Mi sembrerebbe francamente troppo riduttivo, anche perché risulterebbe difficile su un documento di questo genere appellarsi a quel minimo di entusiasmo e di condivisione dei cittadini europei che da tante parti si invoca.
In questo quadro le preoccupazioni che ci stanno a cuore sono riassumibili in tre punti. Il primo aspetto dovrebbe essere il chiaro riconoscimento del diritto alla libertà religiosa. Questo è già nella Carta dei diritti fondamentali, che però non ha diretta valenza giuridica. Sarebbe invece opportuno che il diritto alla libertà religiosa trovasse un suo spessore di diritto propriamente “comunitario”. In secondo luogo, il diritto alla libertà religiosa dovrebbe essere previsto non solo come diritto che abbraccia le espressioni personali e quelle collettive, intese come somma di individui, ma anche come diritto di cui godono le confessioni religiose e che si traduce in una piena autonomia organizzativa e in un’ampia possibilità di espressione nell’ambito della vita sociale secondo la propria identità: occorre cioè riconoscere anche le confessioni come soggetti della libertà religiosa. Il terzo aspetto riguarda le relazioni che le confessioni religiose possono instaurare con gli Stati e con l’Unione. Quanto alle relazioni con gli Stati, ritengo che la dichiarazione n.11 annessa all’Atto finale del Trattato di Amsterdam dovrebbe diventare parte del corpo normativo dell’Unione, riconfermando che la definizione delle eventuali relazioni tra le confessioni e gli Stati è di competenza degli Stati medesimi. Quanto alle eventuali relazioni delle confessioni con l’Unione credo che la prospettiva da auspicare è quella dell’individuazione di luoghi e metodi di confronto e di dialogo, che non dovrebbero però rimanere affidati a una dimensione di “benevolenza” delle istituzioni dell’Unione verso le Chiese ma dovrebbero trovare un minimo di regolamentazione formale.
Questa esigenza di luoghi e forme di confronto vale già per il lavoro della Convenzione. Con un’avvertenza che ci sta a cuore: ben difficilmente noi potremmo accettare di essere ricondotti nel grembo del Comitato economico-sociale come semplice espressione della società civile, dal momento che, per un verso, tale Comitato ha una sua connotazione piuttosto precisa e caratterizzata e, per un altro verso, le confessioni religiose non sono anzitutto portatrici di interessi, per quanto legittimi, ma espressione di esperienze e di apporti segnati dalla dimensione del trascendente e presentano una loro innegabile originalità.