La religione può ” “divenire strumento ” “di pace e la politica è chiamata a tenerne conto, osserva la ” “teologa Elaine Rudolphi ” “” “
La storia delle Giornate di preghiera per la pace nel mondo, comincia nel 1986, su iniziativa di Giovanni Paolo II. Da allora lo “spirito di Assisi” ha animato numerose altre iniziative di dialogo e di impegno comune delle religioni per la pace. Con Elaine Rudolphi , teologa tedesca, funzionaria dell’OCIPE (Ufficio cattolico di informazione e di iniziativa per l’Europa) e responsabile del Foyer Catholique di Bruxelles per la pastorale internazionale, proviamo a fare un bilancio di questo cammino.
L’incontro di Assisi vedrà la partecipazione di delegati di numerosi patriarcati ortodossi, compreso quello di Mosca. Si tratta di un passo avanti concreto per il dialogo ecumenico?
“Si tratta certamente di un segnale. Per quanto riguarda il patriarcato ecumenico di Costantinopoli, ad esempio, il dialogo è senz’altro più aperto, soprattutto con Bartolomeo. La verità è che i messaggi provenienti dalle Chiese alle volte sono ambigui. Mentre in paesi come la Romania, il dialogo ecumenico procede con maggiore facilità anche per ragioni storiche. Teniamo comunque presente che la Giornata di preghiera di Assisi non è solo ecumenica ma anche interreligiosa: lo sforzo del dialogo abbraccia tutte le religioni”.
A suo avviso, in quale misura la religione può divenire uno strumento di pace?
“Non è la religione in sé ad essere strumento di pace, quanto la persona animata da spirito religioso; spetta cioè al credente la scelta di essere operatore di pace. La religione può divenire strumento di pace se le persone sono convinte che questa le impegna ad agire per la pace. Come i gruppi in Irlanda del Nord o in Medio Oriente, dove la pace si costruisce con piccoli progetti di dialogo attraverso la religione”.
Nel recente discorso al Corpo Diplomatico, Giovanni Paolo II ha rilanciato il ruolo della religione nella politica delle relazioni internazionali. Ritiene che la comunità politica internazionale sia pronta valorizzare il dialogo interreligioso?
“Quanto detto dal Papa in qualche modo richiama le parole di Delors sull’anima dell’Europa: ovvero, un filo rosso che le Chiese devono seguire per affermare che non basta l’economia per fare l’Europa e che ‘abbiamo qualcosa in più da offrire’. Bisogna far sì che la politica abbia coscienza delle proprie funzioni di rappresentanza. Ma la politica non è altro rispetto alle religioni o alle Chiese; non per questo, tuttavia, essa non è tenuta a ricercare il dialogo con le religioni. In Europa esiste l’eredità lasciata dalle tre religioni monoteiste, a volte inconsapevole. Ciò non vuol dire però che le religioni abbiano un dovere politico vero e proprio, così come la politica non ha un dovere religioso preciso; può essere fonte di ispirazione, certo, ma politica e religione restano sempre su due piani distinti. La politica non potrà mai rappresentare le religioni e le Chiese, in quanto eletti ed elettori rappresentano una fetta più ampia ed eterogenea della popolazione. Essa può fare buon uso del dialogo interreligioso ma non appropriarsene come strumento operativo”.