diritti violati" "

Il poeta e la gabbia” “

Le modalità di ” “detenzione dei talebani nella base Usa di Guantanamo ricordano quelle della seconda guerra mondiale. In esclusiva, il racconto della figlia di uno ” “dei prigionieri di allora, Ezra Pound” “” “


Sono 158 i prigionieri talebani del campo “X-ray” (raggi X) nella base americana di Guantanamo a Cuba. Secondo diverse fonti giornalistiche, i prigionieri sarebbero detenuti in ristrette gabbie metalliche. Vestiti di una tuta arancione, bendati, imbavagliati e con il capo coperto da cuffie assordanti, è stato riferito che possiedono solamente due asciugamani, uno per il bagno ed uno come stuoia per la preghiera, il necessario per l’igiene e una copia del Corano. Sarebbero autorizzati ad uscire solo per 15 minuti al giorno dalle loro gabbie sempre illuminate, 24 ore su 24. Le loro condizioni hanno sollevato le proteste di varie organizzazioni umanitarie. Una vicenda che ricorda da vicino quella di Ezra Pound, poeta americano, morto nel 1972 a Venezia, che, arrestato nel maggio del 1945 dalle truppe alleate per ‘alto tradimento’, venne portato presso il “Disciplinary Training Center” di Pisa e rinchiuso per tre settimane in isolamento in una gabbia di ferro, esposto al sole di giorno e ai fari di notte. Durante la prigionia Pound compose “I Canti pisani”. Abbiamo chiesto alla figlia di Pound, Mary De Rachewiltz , scrittrice, di ricordare quell’esperienza alla luce dei più recenti fatti d’attualità.

Cosa prova nel vedere prigionieri talebani detenuti in quelle stesse gabbie dove un tempo fu detenuto anche suo padre?
“Un’angoscia tremenda alla vista delle gabbie dei talebani, del crudele filo spinato e perfino delle guardie che mettono paura. Sono anche loro esseri umani. Eppure sembrano dei robot spietati, trasformati in strumenti di vendetta. Mi vengono in mente versi nati nella gabbia di Pisa: ‘Chi ha trascorso un mese nelle celle della morte non crede più nella pena capitale. Chi ha passato un mese nelle celle della morte non ammetterà gabbie per belve'”.
L’esperienza della gabbia ha caratterizzato, anche letterariamente, la vita di suo padre e della sua famiglia. Come ricorda quel periodo?
“In mio padre l’esperienza della gabbia ha portato a riconoscere la vera carità, trovata anche in chi non ha obbedito alle regole. Ancora in vecchiaia si rammaricava di non essere riuscito sempre a praticarla in quanto porta alla serenità e alla pace. Alla fine dei Cantos invocava compassione ed amore: ‘Oh Dio di tutti gli uomini, nessuno escluso’. La violenza, anche quella verbale è nociva. Ma seppure sconcertato non ha mai smesso di cercare le cause delle guerre”.
Com’è possibile che possano esserci ancora oggi modalità di reclusione come queste?
“Le convenzioni umanitarie da sole non bastano. Ci vuole più educazione alle radici. C’è troppa compiacenza verso i grandi monopoli, c’è l’avidità dei potenti, tesi ad aumentare la ricchezza dei popoli ricchi e la miseria dei poveri. Non bastano le parole dei poeti che commuovono soprattutto noi che ci sentiamo impotenti. Abbiamo bisogno di uomini generosi e preparati a risolvere le questioni economiche e non esperti di borsa”.
Il Papa afferma che non ci può essere pace senza giustizia e perdono. Che valore hanno per lei, segnata da un’esperienza simile, queste parole?
“Nelle parole del Papa, nei sui appelli alla pace e alla giustizia sento echi di Dante e di Pound, riconosco la voce non solo di un grande Pontefice ma anche la spinta al senso spirituale, che esprime valori trascendenti, di un poeta. Può darsi che una certa spettacolarità sia necessaria per arrivare ad un dialogo”.
Momenti come quelli di Assisi possono contribuire alla pace e alla difesa dei diritti umani?
“Mi ha colpito soprattutto il commento finale del Papa, lo spontaneo riferimento al vento. ‘Lascia parlare il vento/ Così è Paradiso’ è uno degli ultimi versi di mio padre che nel suo paradiso terrestre, metteva uomini attenti soprattutto alla natura e la linguaggio. La forza bruta dilaga non solo tra gli uomini, ma si è estesa anche alla natura che ha bisogno di cure e di silenzio. Resta il forte invito del Papa alla preghiera come ultima risorsa. Ed io non posso che nuovamente citare il verso ‘Pray, Pray, there is the power’ (Pregare, pregare, questo è il potere), sottolineato dall’ideogramma cinese che indica rispetto”.
Daniele Rocchi