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Una domanda di giustizia” “

” “"Non ci sono né vincitori né vinti nel processo ” “di globalizzazione. Dobbiamo chiederci invece come dare ai perdenti la possibilità ” “di rialzarsi" ” “” “



New York e Porto Alegre, due eventi in contemporanea per discutere del futuro del mondo. Gli effetti della globalizzazione, il divario Nord/Sud, la crisi economica causata dagli attentati terroristici negli Usa e la guerra in Afghanistan, il dramma dell’Argentina e dei Paesi strangolati dal debito estero, sono stati alcuni dei temi discussi nei giorni scorsi durante il World Economic Forum, che ha riunito a New York economisti, politici e manager di tutto il mondo, e il World Social Forum, che ha riunito a Porto Alegre le “mille” anime del movimento no global. Ne abbiamo parlato con Frank Ronge , responsabile dell’Ufficio per i problemi sociali della Conferenza episcopale tedesca e incaricato dei rapporti con l’Unione europea.

Porto Alegre e New York: c’è un filo conduttore che unisce questi due incontri internazionali tanto diversi?
“Al di là di quello che può apparire superficialmente, entrambi gli appuntamenti hanno avuto a tema il futuro del mondo: come far fronte alla crisi, come superare gli squilibri, come garantire uno sviluppo per tutti. Ma le prospettive e gli interessi dei partecipanti ai due incontri erano radicalmente diversi”.
E’ emersa una strategia comune per governare la globalizzazione?
“Il processo di globalizzazione offre molte opportunità, anche ai Paesi meno sviluppati. Ma porta con sé anche numerosi rischi e diversi interrogativi. A queste domande non mi sembra siano state date risposte decisive, né a New York, né a Porto Alegre”.
Qual è l’interrogativo principale che accompagna il processo di globalizzazione?
“Il problema principale è quello della giustizia. Governare la globalizzazione, come ha scritto la Commissione degli episcopati della comunità europea in un recente documento su questo tema, non significa cercare di limitarne a tutti i costi gli effetti, bensì adoperarsi perché tutti possano accedere ai benefici che comporta. Altrimenti la globalizzazione da opportunità di crescita diventa grave fattore di squilibrio e disuguaglianza”.
I vescovi europei, nello stesso documento che ha citato, proponevano di creare un organismo incaricato di seguire il processo di globalizzazione. E’ una soluzione praticabile?
“Bisogna capire come si vuole interpretare questa proposta. Governare la globalizzazione probabilmente è un’utopia. Si possono però riunire insieme i più rappresentativi leader dei governi e delle istituzioni internazionali e indurli a confrontarsi su questi temi per trovare insieme delle piste di lavoro. Bisogna riunirsi intorno ad un tavolo e riflettere sui problemi globali. L’Unione europea può avere un ruolo decisivo nel promuovere questa iniziativa”.
Quale può essere invece il ruolo delle Chiese?
“Nessuno può essere considerato un vincitore o un vinto nel processo di globalizzazione. Dobbiamo chiederci invece come offrire ai perdenti la possibilità di rialzarsi. Le Chiese hanno il compito di ricordare continuamente che il vero obiettivo della globalizzazione deve essere quello di offrire pari opportunità di sviluppo e di crescita anche ai più poveri. Le Chiese hanno titolo e competenza per fare questo perché sono state tra le prime ‘agenzie globali’ dell’umanità”.
Ignazio Ingrao