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Corte europea dei diritti dell’uomo” “

“La decisione presa si giustifica nell’interesse superiore del bambino che sottende a tutta la legislazione applicata in materia di adozione”. Con questa motivazione la Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto il ricorso di un uomo francese, dichiaratamente omosessuale, a cui i tribunali nazionali avevano negato la possibilità di adottare un bambino (Fretté c. Francia, ricorso n. 36515/97, sentenza del 26/2/2002). Philippe Fretté – questo il nome della persona che ha fatto ricorso alla Corte europea – aveva lamentato una “interferenza arbitraria nella sua vita privata e familiare” ed aveva affermato che il no delle corti francesi si fondava “esclusivamente su una disposizione negativa e aprioristica verso il suo orientamento sessuale”. La Corte ha esaminato attentamente la questione partendo dal diritto interno francese che permette l’adozione alle persone non sposate. Ed ha ammesso che l’omosessualità dichiarata dal richiedente ha rivestito “un carattere decisivo”. Ma anche se così fosse– osserva la Corte – non ci sarebbe comunque alcuna “discriminazione nella misura in cui il solo elemento preso in considerazione è l’interesse del bambino da adottare”.
La sentenza della Corte di Strasburgo va oltre e pone all’attenzione dell’opinione pubblica “le incertezze che pesano sullo sviluppo di un bambino allevato da una persona omosessuale e privato del duplice riferimento materno e paterno”. Benché sulla materia manchino studi più approfonditi, “non si può non constatare – scrivono i giudici di Strasburgo – che la comunità scientifica, e più in particolare gli specialisti dell’infanzia, gli psichiatri e gli psicologi, è divisa sulle eventuali conseguenze che derivano dalla adozione di un bambino da parte di uno o due genitori omosessuali”. A questa constatazione, si aggiungono le profonde divergenze dell’opinione pubblica in materia. Il ricorso del signor Fretté trova nell’ “interesse del bambino” il suo limite, “nonostante – affermano i giudici di Strasburgo – le sue aspirazioni siano legittime e senza che sia messa in causa la sua scelta personale”.