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L’impegno della Chiesa e delle Ong per l’integrazione degli immigrati latino-” “americani” “” “
“Ero straniero e mi avete accolto” è il tema della Giornata per l’America Latina che la Chiesa spagnola celebra il 3 marzo. Sui problemi e le sfide che l’immigrazione pone alla società abbiamo intervistato Pilar Samanes , coordinatrice della pastorale migratoria della Conferenza episcopale spagnola, religiosa delle Figlie della carità di Santa Anna.
Missionaria in Guinea Equatoriale per undici anni: quindi è stata anche lei, a seconda dei punti di vista, una emigrante o una immigrata…
“Io sono stata una ‘immigrata di lusso’, perché ero molto appoggiata dalla mia comunità. Non ho sperimentato la sensazione di sradicamento e abbandono degli emigranti. Ma quell’esperienza mi ha aiutato molto nel mio lavoro attuale per capire la durezza della vita dell’emigrante, i motivi che lo obbligano ad uscire dal suo Paese. In Guinea mi dicevano: ‘viviamo meglio in un carcere del tuo Paese che qui liberi’. E mi ha insegnato anche a conoscere e rispettare le culture diverse, cercando di scoprire valori comuni senza sottolineare troppo quello che ci separa”.
Quale credi sia l’approccio giusto al fenomeno migratorio?
“Forse rendendosi conto questo fenomeno non è un problema ma una sfida. L’immigrazione può essere regolata e controllata dal governo ma non basta focalizzare l’attenzione solo sul problema delle ‘quote di immigrati’. Anzitutto perché le necessità del mondo del lavoro risultano più elevate. Inoltre perché si concentra l’attenzione solo sul lavoro temporaneo e non si dà stabilità lavorativa all’immigrato. E poi le persone vengono contattate senza essere conosciute e senza che esse conoscano i datori di lavoro e le caratteristiche dell’ambiente lavorativo, trascurando in questo modo il rapporto umano. In pratica l’immigrato è visto in modo utilitaristico, uno che arriva, fa un lavoro necessario e poi ritorna al suo Paese”.
Come promuovere allora l’integrazione?
“Gli immigrati hanno diritto a realizzare la propria vita nella società con parità di diritti e doveri, inclusa la scelta del Paese in cui vogliono vivere. Per questo la Chiesa e le Ong si impegnano a collaborare all’assistenza giuridica, all’integrazione nel lavoro, alla formazione e all’educazione. Forse c’è ancora da fare nella sensibilizzazione della gente, che è ricettiva ai discorsi sociali ma è anche piena di luoghi comuni e pregiudizi. Dobbiamo conoscerci meglio per capirci”.
La Spagna è più vicina all’immigrazione latino-americana per storia e per cultura. Questo pone delle sfide?
“Alla Spagna sicuramente ma anche all’Europa che ha una presenza latino-americana consistente. Siamo in contatto con diverse Conferenze episcopali che si occupano di questo tema. Per noi è un’autentica rivoluzione perché prima l’America Latina era terra di emigrazione e missione. Ora noi riceviamo i suoi fedeli e perfino i suoi sacerdoti. La diocesi di Urgell, ad esempio, ha più sacerdoti latino-americani che spagnoli. Anche la presenza di immigrati di altre grandi religioni, come l’Islam, è per noi uno stimolo. Per questo stiamo elaborando delle direttive di pastorale delle migrazioni che ci permettano di rispondere in maniera adeguata alle tante sfide”.