" "comunitaria 2001
” “"Evitiamo di dare l’impressione che ci ” “vergogniamo della nostra storia e che ” “pretendiamo che l’Europa sia un albero senza radici", afferma il ministro per le ” “politiche comunitarie” “” “
La Camera dei deputati ha approvato definitivamente, nei giorni scorsi, la legge comunitaria 2001. 58 direttive comunitarie trovano così attuazione nel nostro ordinamento. Però, per molte di esse la legge delega al Governo o alle Regioni e Province autonome l’approvazione delle normative volte a dare concreta applicazione alle direttive. Abbiamo intervistato il ministro per le politiche comunitarie, Rocco Buttiglione , per una valutazione di tale provvedimento.
A che punto è il nostro Paese quanto all’adeguamento alla normativa comunitaria?
“Siamo al sesto posto tra i quindici Paesi dell’Unione europea, ma puntiamo ad arrivare al primo. L’approvazione della legge comunitaria rappresenta certamente un passo avanti in questa direzione ma non è sufficiente. Infatti, il testo di legge che abbiamo approvato nei giorni scorsi alla Camera dei deputati in gran parte contiene delle deleghe con le quali il Parlamento dà incarico al Governo di provvedere all’attuazione delle direttive comunitarie. Ora dovremo stimolare i diversi ministeri affinché esercitino le deleghe che sono state loro conferite. Nel frattempo abbiamo impostato la legge comunitaria 2002 che conto di portare al prossimo Consiglio dei ministri. Anticipiamo i tempi per accelerare il processo di adeguamento”.
Molte deleghe chiamano in causa anche Regioni e Province autonome per l’applicazione delle norme comunitarie. Questo cosa comporta?
“Vogliamo rispettare la competenza delle Regioni in alcune materie, così come stabilito dalla riforma del Titolo V della Costituzione. A questo scopo approviamo a livello governativo norme che entrano in vigore solo alla scadenza dei termini fissati dalla direttiva comunitaria. Se le Regioni, prima della scadenza di tale termine, approvano una propria normativa in materia, le norme governative non entrano in vigore. E’ un sistema che ci consente di rispettare l’autonomia regionale ma anche di evitare che si verifichino vuoti normativi o il mancato rispetto dei termini posti dall’Unione europea. E’ un’occasione per coinvolgere sempre più i cittadini, anche a livello regionale, nella formazione della normativa europea”.
Tra le diverse deleghe conferite al Governo dalla legge comunitaria, c’è anche quella che riguarda il coordinamento della legislazione vigente contro la discriminazione per razza ed etnia. Quali conseguenze sulla nuova legge sull’immigrazione?
“Le direttive comunitarie in materia di non discriminazione e parità di trattamento sono un grande passo avanti dal punto di vista della difesa e della promozione dei diritti della persona ma non avranno conseguenze sulla legge sull’immigrazione. Dobbiamo sempre impegnarci a salvaguardare il rispetto di ogni singola persona umana e questo implica il rispetto della sua cultura, della sua sensibilità, della sua storia. Dobbiamo ancora progredire in questa direzione nel nostro Paese. Ma non si tratta di intervenire tanto sulla legislazione quanto sul costume diffuso. Bisogna favorire una maturazione complessiva del costume nella direzione del rispetto dell’altro e della non discriminazione, non basta punire i comportamenti aberranti”.
Ha promosso un Osservatorio sulla Convenzione europea che ha intrapreso i suoi lavori. Quali principi e quali valori vorrebbe che venissero tenuti in considerazione nel dibattito sul futuro dell’Europa?
“Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea viene messa al centro la dignità della persona umana. In forza di questo, la Carta merita un apprezzamento. Però nella stessa Carta non viene adeguatamente messo in luce che la persona vive in una comunità, a cominciare dalla famiglia. Nella Carta si parla della famiglia ma senza un riferimento sufficientemente forte e ancorato alla natura della persona umana. Non si parla neanche di nazione che è l’altra grande comunità nella quale cresce e si sviluppa la persona. E non si parla di radici culturali dell’Europa”.
Vorrebbe che la Convenzione europea esplicitasse nei nuovi trattati o in un’eventuale Costituzione il riferimento alle radici cristiane del nostro continente?
“Credo che sarebbe bene farlo. Certo non ci sono solo le radici cristiane. Sarebbe meglio allora parlare di radici ‘ebraico-cristiane’ e ricordare anche la grande tradizione greco-latina dell’Europa. Ma evitiamo di dare l’impressione che ci vergogniamo della nostra storia e che pretendiamo che l’Europa sia un albero senza radici, solo uno spazio economico e non culturale”.
Teme che le Chiese siano emarginate dal confronto sull’Europa?
“Credo che le Chiese debbano essere ascoltate dalla Convenzione europea. Purtroppo qualche volta ho l’impressione che, almeno una parte del Parlamento europeo, veda il fenomeno religioso come una minaccia e non come una risorsa”.
Cosa pensa dell’allargamento dell’Unione europea a 27 Paesi?
“Credo che l’allargamento si debba fare, che sia un diritto morale e storico dei Paesi interessati, prima ancora che un fatto politico. Non possiamo dimenticare, infatti, che nei Paesi dell’Europa centro-orientale la lotta non violenta contro il comunismo è stata una lotta per la libertà e per l’Europa. E non possiamo neanche dimenticare che i cittadini di quei Paesi sono stati esclusi dall’unità europea a causa di vicende di cui non portano la colpa. Quindi devono entrare nell’Unione, naturalmente a condizione che siano in grado di farlo, cioè abbiano adempiuto a tutti i ‘capitoli’ previsti dalla procedura di adesione”.
Ignazio Ingrao