Di una “affinità” cristiana e di “punti di contatto” con coloro che vivono “implicitamente in modo cristiano pur senza fede, pratica e adesione cristiana esplicite” parlano i vescovi inglesi descrivendo la religiosità nel loro Paese e rilevano altresì la “sensazione” che questo background “cristiano costituisca un’opzione di minoranza”.
“Persuadere le persone ad appartenere” più che “convincerle a credere” è il lavoro più arduo nell’opera di evangelizzazione e per questo “eventi straordinari” come quelli dei pellegrinaggi, delle Gmg e dei centri residenziali per i giovani possono costituire esperienze che hanno un’eco durevole. Necessario anche l’incontro con il Vangelo, favorito dalla “testimonianza dei cappellani nelle scuole e nelle università” e di altri giovani, “quali quelli dei Centri giovanili diocesani”, che “dimostrano una fede attiva” e “offrono prova della gioia e della vitalità della vita cristiana”. I giovani vanno poi accompagnati a riflettere “in modo ragionevole e ponderato” su alcuni problemi che potrebbero sentire come imposti dalla Chiesa: si pensa in particolare al “ruolo delle donne” e all’ “insegnamento in ambito morale”, rilevando anche che “testimoni, più che insegnanti” sono necessari per percorrere insieme la strada della fede, “costruendo amicizie e facendo comunità”, ascoltando le esperienze degli altri. “La formazione dei laici”, come indicata da Giovanni Paolo II, con l’approfondimento della fede e della spiritualità di tutti i giovani cristiani, sono necessarie al percorso della fede, cui possono dare un contributo significativo le scuole e le istituzioni educative cattoliche. “Non esiste” infine, rilevano gli operatori di pastorale giovanile, una risposta unica per tutti lungo il cammino della fede; le risposte vanno costruite in maniera personalizzata per adattarsi alle “diverse situazioni degli individui e delle comunità locali”.