La fine dell’assedio alla Basilica della Natività di Betlemme è l’occasione, anche per i quotidiani internazionali, di interrogarsi sulle prospettive concrete di pace in tutto il Medio Oriente. “Dove sta andando il Medio Oriente?”, si chiede ad esempio l’ Herald Tribune (14/5), in un articolo in cui David M. Malone si dichiara piuttosto scettico sulla Conferenza internazionale di pace, annunciata da Stati Uniti, Russia, Unione Sovietica e Nazioni Unite forse per l’estate prossima. “Washington commenta Malone sembra ancora impegnato a cercare una composizione del conflitto con l’impegno nelle negoziazioni. E’ un approccio sbagliato”. Questo perché, sostiene l’autore dell’articolo, “qualsiasi ragionevole proposta causerebbe danni politici sia ad Israele, sia al mondo arabo, e creerebbe animosità verso la classe politica statunitense”. Sulla “sconfitta” del premier israeliano Sharon, dopo la mozione del Likud, si sofferma invece Le Monde (14/5), che in un articolo in prima pagina fa notare che il voto contrario alla creazione di uno Stato palestinese indipendente “pone il primo ministro in una situazione difficile, soprattutto nella prospettiva di una Conferenza internazionale per rilanciare il processo di pace”. Sull’ “umiltà” di Betlemme si sofferma, invece, Michel Kubler ( La Croix, 13/5), sostenendo che la fine dell’assedio alla Natività riveste, in qualche modo, un valore simbolico per l’intera questione mediorientale. Si tratta, spiega il caporedattore de “la Croix”, di un “simbolismo forte, ma ambiguo”, perché la “porta di Betlemme” è “una vera fortezza divenuta, contro la sua volontà, nell’arco di un mese, un campo di trincea” . Ma la porta di Betlemme, conclude Kubler, “è prima di tutto quella dell’umiltà più paradossale, la stessa di Dio: per i cristiani è lì che è avvenuta l’Incarnazione. Proprio perché questo spazio è stato profanato tanto per l’intrusione dei combattenti palestinesi quanto per l’aggressione dell’esercito israeliano – bisognerebbe purificarlo”.
“ Un museo per la catastrofe comune dei tedeschi e dei polacchi” e “ Un ricordo scomodo” sono i titoli di due articoli che il 15/5 la Frankfurter Allgemeine Zeitung dedica al problema dei popoli costretti all’esilio dalla propria patria. La FAZ prende spunto dal progetto di un centro contro le “ espulsioni dei popoli” da costruire a Berlino, del quale si dovrebbe discutere giovedì 16 maggio al Bundestag. Nell’editoriale in prima pagina del quotidiano, leggiamo che “la sorte di dover abbandonare la terra dove i propri antenati erano vissuti e morti per secoli, è toccata a Greci, Albanesi, Estoni, Finlandesi, Polacchi, Ebrei e a molti altri popoli”. Stessa sorte anche per “15 milioni di tedeschi che dopo la II guerra mondiale hanno perso la casa” ma, poiché appartenevano al popolo che “ si era macchiato di gran parte della colpa, il ricordo di questo episodio si era incastonato in un nuovo mito: quello di una presunta giustizia storica. Ed è questo il motivo per cui negli interessati ancora oggi si percepisce tanta amarezza“. Superata questa sensazione “ è importante” allora oggi “ il segnale che la riflessione sulla comune perdita dei pensieri di vendetta alla fine è stata rimossa” e che anche in Polonia, a Breslavia “ si vorrebbe fondare la sede di un’istituzione del genere“. Per questo, continua l’articolista, “ l’appello del giornalista polacco Adam Michnik è da tenere in alta considerazione“. Ma, importante è che “ se i tedeschi vogliono tenere vivo il ricordo, allora lo facciano nel loro Paese, a Berlino“.
Il sistema educativo tedesco diventa invece uno degli argomenti della prossima battaglia elettorale, secondo il settimanale Spiegel del 13/05, che così titola in copertina “ la corsa degli sciocchi, la nuova catastrofe dell’educazione tedesca” e dedica una serie di articoli all’argomento. Secondo Jochen Bölsche, “ dopo lo shock dello studio PISA (sull’efficacia del sistema scolastico tedesco, ndr) e l’eccidio di Erfurt il catastrofico sistema educativo tedesco diventa tema per le elezioni. La ricostruzione del gigantesco sistema, dall’asilo fino all’università è in ritardo“. L’autore sostiene che la politica federale “ ha trascurato nell’ultimo trentennio del secolo scorso almeno sette sovvertimenti sociali epocali” e li enumera: “ Un’insufficiente pressione all’integrazione nei confronti degli studenti non tedeschi“, “ posti per tutti negli asili nido“, “ il ruolo della disciplina come elemento altamente qualificante“, “ la scuola a tempo pieno contro gli errori da parte dei genitori“, “ i più bravi possono apprendere anche dai più deboli”, “la Germania ha bisogno di una nuova cultura scolastica“, “ le scuole superiori hanno bisogno di maggiore autonomia e competitività“.