doping

” “Costretti a vincere

” “” “Il doping è frutto di una "mentalità disastrosa" che non accetta la sconfitta, afferma ” “don Michael Kühn, ” “cappellano della ” “squadra tedesca alle ultime olimpiadi invernali



L’etica, il rispetto di sé e degli altri unito a quello delle regole, l’igiene e la salute sono tra i valori educativi, sanitari e sociali veicolati dallo sport che la pratica sempre più diffusa del doping mette a dura prova. Sport di massa come il calcio, il ciclismo, l’atletica leggera, lo sci, in questi anni sono stati segnati da numerosi casi di doping. Ma i molti atleti ‘famosi e vincenti’, scoperti dopo controlli antidoping, sembrano essere solo la punta di un iceberg che ha il suo sommerso in quel vasto mondo di sportivi dilettanti e di amatori ormai prigionieri di steroidi e anabolizzanti. Abbiamo cercato di analizzare il fenomeno del doping per capirne le ragioni che lo determinano e i rischi che provoca e conoscerne le leggi che lo contrastano. Tra i Paesi in cui il tema del doping è seguito con particolare attenzione c’è la Germania che dopo la riunificazione ha raccolto la ‘pesante’ eredità della ex-DDR dove il doping era pratica diffusa. Abbiamo posto alcune domande a don Michael Kühn , già direttore dell’Ufficio nazionale sport, turismo e tempo libero della Conferenza episcopale tedesca, attualmente direttore dell’Afj, il Servizio nazionale di pastorale giovanile. Kühn è stato cappellano della squadra tedesca alle ultime olimpiadi invernali di Salt Lake City (Usa).

Cosa ne pensa della diffusione del doping?
“Non solo nello sport ma nell’intera società è diffusa una mentalità di totale fiducia nella medicina. La gente crede che per ogni problema ci sia una pillola o un medicinale per risolverlo. In una società in cui contano sempre più la prestazione, la bellezza e la forza, la tentazione del doping per raggiungere i propri traguardi nello sport cresce. È una mentalità disastrosa che non rispetta il proprio corpo e i propri limiti personali”.
Come scoraggiare, allora, questa diffusione?
“Con una alleanza fra medici, industria farmaceutica, associazioni sportive, Stato e Chiesa. Ci vuole una forte campagna di informazione anti-doping”.
Dopo i casi di doping di Stato nella ex-DDR e nei Paesi dell’Est quale è oggi la molla che spinge l’atleta a cercare una prestazione dopata?
“Lo sport al livello nazionale e internazionale è diventato un grande business. Anche le condizioni degli sportivi si sono trasformate. L’atleta deve dedicare molto tempo all’allenamento e cosi è costretto di fare dello sport la sua professione. Senza dimenticare che il periodo in cui è capace di gareggiare ad alti livelli è limitato. E con tutta la dedizione non è detto che riesca a vincere. Ma si deve guadagnare la vita. Lo sport costa. La vita è cara. Così per truffare e per avere una certa sicurezza di vincere, che sempre significa anche guadagno, alcuni atleti fanno uso del doping. Ma una cosa è certa: senza un’attenzione speciale da parte dei medici, anche nei limiti delle regole, nessun atleta oggi può fare sport ad alto livello”.
Le gare ciclistiche più famose come il Giro d’Italia e il Tour de France sono state segnate dal doping. È la fine del ciclismo?
“Il ciclismo cerca sempre più tappe spettacolari sia nel Giro che nel Tour. Gli sforzi che gli atleti devono affrontare ogni giorno stanno raggiungendo i limiti umani. Conseguentemente si cerca l’aiuto di questi mezzi e metodi. Il ciclismo deve riflettere sulla attuale situazione se non vuole essere segnato come sport ‘dopato’ per eccellenza”.
Quali sono attualmente le più importanti iniziative in Germania nella lotta al doping?
“L’iniziativa più importante è la formazione di una Agenzia nazionale antidoping simile alla Wada (World-Anti-Doping-Agency) che viene finanziata sia dallo Stato che dalle organizzazioni sportive. L’agenzia è indipendente e gli atleti vengono sottoposti a controlli permanenti. È un primo passo importante per sconfiggere il doping e preservare la salute degli atleti”.
Patrizia Collesi