rifugiati
” “22 milioni di rifugiati nel mondo:” “in occasione della giornata a loro dedicata (20 giugno), le Chiese chiedono ai governi di facilitarne l’accoglienza
Sarà dedicata alle donne rifugiate l’edizione 2002 della “Giornata mondiale del rifugiato” che si svolgerà in tutto il mondo il 20 giugno. Secondo l’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati) sono 22 milioni i rifugiati nel mondo, di cui oltre il 75% costituito da donne e bambini. Le Nazioni Unite prendono spunto dalla celebrazione della Giornata per smentire la tesi secondo la quale l’Unione Europea sarebbe invasa da falsi richiedenti d’asilo ed assicura che tutte le richieste degli ultimi dieci anni sono legate a situazioni di crisi e conflitto. Le domande d’asilo presentate in Europa, inoltre, sono scese del 10% nei primi tre mesi del 2002 rispetto all’ultimo trimestre del 2001. Sul problema dei rifugiati in Europa, si sono levate in questi giorni anche le voci dei rappresentanti delle Chiese cristiane. Tra i messaggi, quello di mons. Patrick O’Donoghue, presidente dell’Ufficio per i rifugiati della Conferenza episcopale inglese, che definisce le politiche europee in materia di rifugiati “non incoraggianti” e “sempre più restrittive”. “E’ la violazione dei diritti umani la causa maggiore dei movimenti migratori”, scrive il vescovo. E aggiunge: “Ha poco senso per l’Europa cercare di chiudere le porte ai rifugiati, se prima non mette in atto misure effettive per sradicare le cause della migrazione”. Ne abbiamo parlato con Dieter Müller , direttore del Servizio accoglienza rifugiati dei gesuiti (JRS) per la Germania.
Quali sono le tendenze da voi osservate nelle migrazioni dei rifugiati?
“L’aumento dei controlli alle frontiere e l’inasprimento delle restrizioni delle procedure dell’immigrazione rendono più difficile l’espatrio dei profughi che sono quindi costretti a rivolgersi sempre più spesso a professionisti che li aiutino a fuggire. In questo modo aumenta il loro indebitamento e la loro dipendenza, così come i pericoli legati al viaggio. Per quanto riguarda i Paesi di provenienza, il flusso dei profughi proviene dai luoghi di conflitti: continuano ad arrivare curdi dalla Turchia, dall’Iran e dall’Iraq, palestinesi, ceceni della Federazione russa, persone dall’Afghanistan o dalla Sierra Leone e da altre aree africane colpite dalla guerra civile”.
Si può prevedere che in futuro i criteri che definiscono il rifugiato tengano conto anche della povertà?
“Non credo. Tuttavia, la Chiesa evidenzia con ragione che anche lo stato di necessità dei singoli a causa di una cattiva politica economica sia una ragione legittima e umanamente comprensibile per lasciare il proprio Paese”.
Quali sono le vostre proposte?
“Auspichiamo che i Paesi ricchi comprendano che nell’era della globalizzazione e dei collegamenti internazionali non è più possibile tenere fuori della propria porta di casa gli effetti delle crisi che i Paesi ricchi hanno contribuito a causare o che perlomeno non hanno evitato. Una soluzione a lunga scadenza è possibile solo se tutti ovunque mondo possono sperare nel futuro, senza dover pensare che il futuro sia solo un lusso dei Paesi ricchi.
Oltre all’aiuto materiale, cosa deve fare la comunità ecclesiale?
“I rifugiati, così come molti altri immigrati, sono persone senza patria, sono in cammino nella ricerca di sicurezza e di una vita migliore. Il contatto con queste persone rammenta alla Chiesa che anch’essa è in cammino verso la sua vera patria. Si tratta quindi di un viaggio insieme, durante il quale può esserci un arricchimento ed un sostegno reciproco”.