” “Riconoscimento del ” “proprio status ” “giuridico e forme di ” “consultazione ” “permanente con le ” “istituzioni comunitarie: è la richiesta avanzata dalle Chiese alla Convenzione europea
“L’Unione europea deve essere una comunità di valori”, è stato l’auspicio espresso dal rappresentante della Kek (Conferenza delle Chiese europee), Keith Jenkins , intervenuto il 25 giugno nel corso della sessione plenaria della Convenzione per il futuro dell’Europa, dedicata all’ascolto della società civile. I valori su cui costruire l’Unione Europea, richiamati da Jenkins, includono “la centralità della persona umana, la promozione della pace e della riconciliazione, la libertà e la giustizia, la solidarietà e la sostenibilità dello sviluppo, la tolleranza, la democrazia, il ruolo della legge e il rispetto delle minoranze”. Il portavoce delle Chiese ha chiesto inoltre alla Convenzione che, in nome del “principio di sussidiarietà”, il futuro trattato includa anche quanto previsto dalla dichiarazione n.11 dell’atto finale del Trattato di Amsterdam, vale a dire l’impegno dell’Unione Europea a rispettare lo “status delle chiese, delle associazioni religiose, delle comunità e degli enti non confessionali così come riconosciuto da ogni stato membro”. Abbiamo chiesto a Keith Jenkins di commentare la partecipazione delle Chiese alla plenaria. Intanto è atteso nei prossimi giorni un documento comune delle chiese Cristiane, cattolici compresi, indirizzato ai membri della Convenzione.
E’ soddisfatto del lavoro svolto in seno al “gruppo di contatto” con i rappresentanti delle altre Chiese?
“In questo gruppo ci siamo trovati in un numero consistente: 71 partecipanti in rappresentanza di 53 organismi diversi impegnati nel campo della cultura, dall’educazione alla tutela del patrimonio artistico. In una realtà così vasta e variegata abbiamo cercato di far capire che le Chiese non intervengono per difendere interessi particolari, bensì perché sono convinte di poter offrire un contributo utile per tutti nella costruzione dell’Europa di domani”.
Quali aspetti ritiene che prima la Convenzione e poi la Conferenza intergovernativa dovranno tenere in particolare considerazione?
“L’Unione Europea non è solo uno strumento che serve per fare meglio le cose, per essere sempre più efficienti. Ma è anzitutto una ‘comunità di valori’. Inoltre le Chiese cristiane auspicano che il futuro trattato includa anche la Carta dei diritti fondamentali. Chiedono poi che l’Unione rispetti e valorizzi la diversità: perseguire l”unità nella diversità’ è stata la felice espressione usata al riguardo dal presidente della Commissione europea, Romano Prodi. Infine l’Unione dovrebbe valorizzare il contributo dell’eredità religiosa, spirituale e filosofica dell’Europa. A questo scopo il nuovo trattato europeo, dovrebbe fare esplicito riferimento ai valori sui quali il nostro continente è fondato”.
Le Chiese chiedono forme di dialogo più strutturate e costanti con l’Unione. Avete qualche proposta?
“Abbiamo bisogno di strutturare il dialogo e le relazioni con le istituzioni europee, in particolare con la Commissione, in maniera meno sporadica ed estemporanea di quanto è stato fatto fino ad oggi. Dobbiamo progredire nella direzione indicata dal libro bianco sulla Governance dello scorso anno che fa riferimento al ruolo che le istituzioni religiose e le Chiese rivestono nel contesto sociale attuale”.
Cosa ha significato, dal punto di vista ecumenico, il lavoro svolto nel gruppo di contatto?
“Uno degli impegni assunti con la ‘carta ecumenica europea’ nell’aprile 2001 era quello di responsabilizzare le Chiese nei rapporti con l’Unione Europea e perseguire la maggiore coesione possibile. A questo scopo ci siamo coordinati con la Commissione degli episcopati della comunità europea per seguire i lavori della Convenzione europea. Abbiamo inviato contributi separati al Forum della società civile su Internet ma solo dopo averli rivisti insieme così da garantire una sostanziale armonia nelle proposte da sottoporre alla Convenzione. Certamente non possiamo nascondere che ci sono anche delle diversità di vedute tra le diverse Chiese europee su alcuni temi di carattere etico. Ma il nostro lavoro deve puntare a trovare il comune denominatore che ci unisce non gli aspetti che ci dividono”.
I.I.