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La prostituzione è reato ma i redditi delle prostitute sono soggetti ad imposizione fiscale: le associazioni denunciano i paradossi della legislazione francese” “
In Italia è cominciata la discussione in Commissione Giustizia della Camera dei deputati su dodici proposte di legge in materia di prostituzione. La situazione negli altri Paesi europei è diversificata. In Francia molte prostitute provengono dai Paesi dell’Europa centrale ed orientale nonché da molti Paesi africani. Fino ad oggi, le informazioni più affidabili sono diffuse dall’Ufficio centrale per la repressione della tratta degli esseri umani che stima dalle 10 mila alle 12 mila persone dedite alla prostituzione di strada in Francia, alle quali bisogna aggiungere 3 mila professioniste che esercitano nei bar e nei centri di massaggio. Nella sola Parigi, si contano tra le 6 mila e le 7 mila persone. Sempre secondo l’ufficio, gli introiti annui di tale traffico potrebbero ammontare, nella sola Francia, a circa 20 miliardi di franchi, di cui il 70% andrebbe ai protettori.
Il disimpegno delle istituzioni. Il governo francese ha ratificato la Convenzione Onu del 2 dicembre 1949. Cinquant’anni dopo, però, un rapporto della delegazione del Senato dei diritti delle donne constata: “Sebbene l’obiettivo repressivo sia stato raggiunto, il disimpegno dei pubblici poteri è palese in fatto di prevenzione della prostituzione e di reinserimento delle ex prostitute”. Per quanto riguarda lo sfruttamento della prostituzione, la politica francese è chiara: si tratta di un reato condannato per legge. In realtà, “la pratica si traduce in un regime di libertà sorvegliata, aleatoria e all’occorrenza contrastata”. Sempre per legge, chi si prostituisce viene considerato vittima di un sistema di sfruttamento e, secondo un decreto del 1914, dovrebbe ricevere assistenza. Ma tale decreto è rimasto lettera morta per mancanza di fondi.
Un’attività regolata dal fisco. I redditi delle prostitute sono soggetti ad imposta. La fiscalizzazione è regolamentata: riguarda la prestazione, il numero di prestazioni quotidiane, il numero di giorni di “lavoro”. Una fiscalizzazione di questo tipo paradossalmente finisce per rendere ufficiale la situazione facendola divenire in tal modo legale. Sul piano sociale, invece, le prostitute non sono censite da nessuna parte: chi desiderasse lasciare “il giro” non può beneficiare né dell’ufficio di collocamento (che censisce ed aiuta i disoccupati a trovare lavoro), né del sussidio di disoccupazione (che arriva ogni mese), né della protezione sociale fornita dalla mutua. Capita anche che le prostitute vengano sottoposte a controlli da parte del fisco al momento in cui decidono di uscire dalla prostituzione: un circolo vizioso che le fa rimanere nella loro situazione. La fiscalizzazione è dunque un intralcio al reinserimento e allo stesso tempo un profitto per lo Stato, osservano le associazioni che lottano contro la prostituzione.
La denuncia delle associazioni. Secondo l’associazione “le Nid” (“il nido”), un movimento di Chiesa che lotta contro la prostituzione, accreditato presso il ministero della gioventù, sempre più ragazzi francesi sono trascinati verso la prostituzione e sono sempre più giovani: rotture familiari, precarietà economica, corsa al consumo, violenza dei rapporti tra i ragazzi dei due sessi. “Si sta studiando in Francia, una proposta di legge contro la schiavitù considerata crimine contro l’umanità. La schiavitù della prostituzione non può evitare simile denominazione. Ma a quando una presa di posizione ufficiale?” si interroga il “Nid” deplorando l’assenza di una politica globale. “Il ministero degli interni reprime, il ministero della giustizia penalizza, il ministero delle finanze fissa le imposte, ma almeno il ministero degli affari sociali dovrebbe stabilire misure di reinserimento”, lamentano gli operatori del “Nid”.
M.G.