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C’è un "modello sociale europeo" che i Quindici sono chiamati a realizzare. L’esperienza francese è un utile esempio per una riforma fiscale a favore delle famiglie” “
Lo Stato sociale è un patrimonio di tutta l’Europa, pur nelle diverse forme che ha assunto nel tempo e nei diversi Paesi. Tale patrimonio va difeso e promosso, se necessario “rimodulato” sulle nuove esigenze e in base alle risorse disponibili. Questo il “messaggio all’Europa” lanciato dal convegno di studi delle Acli (Associazioni cristiane dei lavoratori italiani) che si è svolto dal 6 all’8 settembre a Vallombrosa (Firenze) per riflettere sul “welfare che verrà. La nuova frontiera dei diritti nel tempo della globalizzazione”. Dati alla mano, nel 1999 i Paesi dell’Unione Europa spendevano il 27,5% del Prodotto interno lordo (Pil) per la protezione sociale (fonte: Eurostat). Per quanto riguarda le spese per la famiglia e i figli, nello stesso anno, la quota era pari al 8,2 % del Pil (il 3,7 % in Italia contro il 10,% % in Germania). Ciononostante nell’UE le persone a rischio povertà sono tra i 60 e gli 80 milioni e il 21% dei minori vive in famiglie a basso reddito (fonte: Eurostat, dati 1996).
In questo quadro, ha detto il presidente della Commissione europea, Romano Prodi, intervenuto in teleconferenza, “la politica sociale non può essere lasciata solo agli Stati membri. E’ chiaro che le decisioni restano nell’ambito dell’autonomia degli Stati, o addirittura delle Regioni, ma andiamo verso una conoscenza reciproca dei nostri sistemi economici, dobbiamo scambiare esperienze, garantire servizi armonizzati ai cittadini e lavorare per una convergenza che permetta ai nostri sistemi economici di essere efficaci”. In particolare, ha sottolineato Prodi, “parlare di welfare significa anche parlare di formazione, aspetto che non mi sembra abbastanza sentito in Europa. Garantire il welfare è anche un problema di risorse umane”.
In tale prospettiva, l’UE ha definito un “modello sociale europeo” che è stato descritto dal Commissario europeo per l’impiego e gli affari sociali, la greca Anna Diamantopoulou. “Il modello sociale europeo ha detto la Commissaria al convegno delle Acli è quello del welfare state che rappresenta uno dei pilastri dell’Unione Europa. Gli obiettivi del nostro modello sociale sono quelli della solidarietà, della giustizia e della coesione sociale”. Diamantopoulou ha ricordato che il Consiglio europeo di Lisbona ha posto come obiettivo prioritario la creazione di 25 milioni di posti di lavoro nel territorio dell’Unione entro il 2010. Per raggiungere questo e gli altri traguardi di politica sociale definiti a Lisbona nel 2000 e per far fronte all’attuale situazione di recessione economica, ha osservato la Commissaria europea, “va rilanciata una politica di cooperazione che si ponga diversi obiettivi: aiutare i 60-80 milioni di cittadini a rischio di povertà, far fronte alla crisi delle pensioni, estendere la cooperazione al settore sanitario”.
Per raggiungere questi obiettivi serve un coordinamento più stretto tra i Quindici ma è anche utile prendere esempio dall’esperienza di alcuni Paesi europei. Luigi Campiglio, docente di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, nel corso del convegno Acli, ha analizzato gli effetti delle diverse politiche fiscali sulle famiglie e ha suggerito di prendere come modello il sistema tedesco e, soprattutto, quello francese. Mentre la riforma fiscale proposta dall’attuale governo italiano, secondo le analisi e le simulazioni presentate da Campiglio, comporta “vantaggi più diffusi per i redditi più elevati” ma non modifica “il difetto iniziale di impostazione e cioè l’aver scelto l’individuo anziché la famiglia come fondamentale unità impositiva”. Il modello francese è basato sul “quoziente familiare”. Questo, ha spiegato, “non è altro che una semplice divisione del reddito familiare per il numero di componenti che consente di individuare l’aliquota da applicare alla base imponibile. Questa impostazione rispecchia da vicino la concezione di un ‘welfare’ dinamico nel quale chi ha bisogno viene ‘pesato’ e non solo ‘contato”.
Il presidente delle Acli, Luigi Bobba, ha infine rivolto un appello alla Convenzione per il futuro dell’Europa che sta preparando il progetto di riforma dei trattati dell’Unione. Nella futura Costituzione europea, ha detto Bobba, andranno riconosciuti i diritti sociali, dimenticati dalla carta sui diritti fondamentali dell’UE adottata a Nizza nel 2000. In particolare “il diritto al lavoro e non più il solo diritto a lavorare; i diritti di associazione, il ruolo delle confessioni religiose”.
Ignazio Ingrao