Critiche alla proposta di regolamento sulla igiene riproduttiva vengono anche da chi lavora nei Paesi in via di sviluppo” “” “
C’è il rischio che “a margine dello sforzo per migliorare società e salute pubblica nei Paesi in via di sviluppo prenda corpo una cultura dell’aborto di proporzioni ben più ampie rispetto alle attuali” afferma Jan De Mol , olandese, esperto di cooperazione internazionale e consulente di diverse organizzazioni non governative europee e africane. Gli abbiamo chiesto di dare un giudizio sulla proposta di regolamento sull’igiene riproduttiva e sessuale in discussione al Parlamento Europeo.
Da anni lavora con Ong impegnate in Africa e nei Paesi in via di sviluppo. Come valuta la proposta di regolamento dell’UE sull’igiene riproduttiva?
“Vi è un lato positivo e un lato negativo. L’elemento positivo consiste nel fatto che gli interventi dell’UE in questo settore potrebbero contribuire efficacemente a migliorare la qualità sanitaria delle cure preventive e terapeutiche nel campo dell’igiene riproduttiva e sessuale. Troppe donne, bambine e adolescenti comprese, muoiono o si ammalano nei Pvs per visite e interventi ginecologici condotti in condizioni inaccettabili, se paragonati agli ‘standard’ occidentali, o perchè non possono rifiutare rapporti sessuali non protetti con partner sieropositivi. Combattere le cosiddette ‘pratiche dannose’, prevenire le infezioni a trasmissione sessuale, promuovere programmi sanitari e campagne informative per le donne e formare il personale ostetrico è un dovere per i Paesi europei”.
Quali sono, invece, gli aspetti negativi del provvedimento in discussione?
“Fermo restando che la proposta dell’UE condanna le violazioni dei diritti umani come mezzo per arginare la crescita demografica, quali aborto coatto, sterilizzazione obbligatoria, infanticidio o altro, vi è tuttavia l’effettiva possibilità che prenda corpo una cultura dell’aborto di proporzioni ben più ampie rispetto alle attuali: non parlo di aborto terapeutico, bensí del fattore psicologico che induce più facilmente una donna oppure una coppia ad abortire sapendo che l’intervento chirurgico in sè non presenta rischi per la salute in quanto eseguito professionalmente. Per questo motivo le campagne informative dovrebbero essere accompagnate da campagne di educazione al valore della vita e del rispetto del proprio corpo”.
Qual è il significato politico di un’azione europea che intende sostituirsi agli Stati Uniti nelle politiche di pianificazione familiare?
“Gli Stati Uniti hanno tagliato i fondi alle agenzie delle Nazioni Unite e alle organizzazioni non governative che si occupano di crescita demografica e salute riproduttiva nei Pvs. Questa scelta si colloca nel nuovo corso di Washington che concentra sempre più l’azione esterna sulla sicurezza, sia interna che mondiale, e sempre meno sullo sviluppo. Tuttavia c’è anche da rilevare, purtroppo, che fino ad ora le Nazioni Unite non ha fatto registrare grandi successi: le malattie sono tutt’altro che debellate, la mortalità tra donne e neonati dovuta a mancanza di igiene stenta a diminuire. I risultati raggiunti non sembrano commisurati all’impegno finanziario profuso che evidentemente si disperde con troppa facilità”.
Cosa potrà fare l’Europa?
“Il fatto che l’Europa consideri beneficiari del suo aiuto non solo i governi centrali, ma anche gli enti locali, le Ong, le organizzazioni internazionali, le stesse Nazioni Unite e per la prima volta gli istituti di ricerca e le università è una garanzia di migliore gestione e potenzialmente maggiore efficacia. Politicamente vedo un segnale forte volto a far assumere all’Europa un ruolo motore nello sviluppo mondiale, come è già emerso negli ultimi tempi e confermato di recente al Vertice di Johannesburg. Ma il problema è un altro: trovare il giusto equilibrio tra scienza ed etica, tra progresso e rispetto dei diritti naturali della donna, del bambino ma anche del feto. Già è un’impresa difficile nelle nostre società secolarizzate, lo sarà ancor di più in società dei Paesi poveri. E su questo dobbiamo vigilare attentamente”.
G.A.G.