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Accettare il rischio di sbagliare” “

La comunità ecclesiale deve coniugare la sua crescente attenzione ai media con un più forte e diffuso impegno culturale ed educativo” “

“La Chiesa cattolica non da oggi è consapevole che il raccontare, l’esperienza di fede con il linguaggio mediatico può arricchire ognuno e tutti. Abituata ad esprimersi con lo scritto e con le immagini fisse non si è mai sottratta alla sfida dei media, anzi, richiamando il proprio patrimonio, ha sempre cercato di offrire un contributo originale alla comunicazione sociale”. Così mons. Crispian Hollis, vescovo di Portsmouth e presidente del Comitato episcopale europeo dei media (Ceem), ha aperto ad Aix en Provence il colloquio su “Comunicare la fede nella cultura dei media in Europa” (19-23 settembre). Senza nascondersi difficoltà e incomprensioni, occorre quindi prendere nota che “essendo la cultura dei media sensibile alle testimonianze di fede, soprattutto quando si esprimono in gesti di solidarietà” è oggi possibile “aiutare questa stessa cultura a fare dell’immagine non una finzione che si sostituisce alla realtà, non una rappresentazione sommaria ma un cammino per giungere alla verità”.
“I media non sono più nella società, sono la società: oggi non ne registrano la temperatura ma la determinano e la Chiesa, prendendone atto, si confronta con le loro leggi e regole non per subirle ma per cogliere occasioni in cui comunicare il messaggio cristiano”. Il card. Godfried Danneels, arcivescovo di Malines-Bruxelles, ha sollecitato a superare un diffuso complesso di inferiorità ricordando che “se i cattolici sono una minoranza che, a volte, non si vede riconosciuta, essi sanno di essere sostenuti dalla Parola e in questo trovano la forza e la serenità di prendere la parola senza sterili vittimismi”. Questa consapevolezza li porta ad “essere presenti nei media con la cultura del confronto piuttosto che con quella dell’affermazione. Essi sanno che in quei momenti non sono chiamati a convertire ma ad offrire parole di fiducia e di speranza. Devono essere disposti a correre il rischio di sbagliare piuttosto che chiudersi nel silenzio, devono testimoniare la freschezza della fede e dire sempre la verità”.
“Mediasfera, è il mondo in cui oggi viviamo, un mondo che affascina le persone – ha aggiunto il cardinale Jean Marie Lustiger, arcivescovo di Parigi – un mondo che prende tempo e richiede energie intellettuali e psicologiche a ragazzi, giovani, adulti e anziani. Il fascino però non è la contemplazione, la riflessione, l’approfondimento e qui si pone la questione della presenza nei media dei testimoni della fede: personaggi forti che possono correre il rischio di essere affascinanti ma non sempre del tutto compresi nello loro scelte radicali”. Tuttavia, non si devono offrire solo testimonianze perché “a noi cattolici spetta il compito di essere attenti ai ‘breaking points’, ai punti di rottura dell’esperienza umana (vita, morte, sofferenza, festa, violenza, …) per dire parole che, attraverso i media, aiutino le persone a cercare e incontrare risposte ‘altre'”.
Il potere dei media, antichi e nuovi, rilancia il tema dell’educare. “All’attenzione agli strumenti ed ai loro linguaggi – ha ricordato mons. Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari e presidente della Commissione Cei per la comunicazioni sociali – la comunità ecclesiale deve affiancare un più forte e diffuso impegno culturale, educativo, di formazione della coscienza. Non si può delegare completamente ai media un compito così importante e che è soprattutto della famiglia, della scuola, della parrocchia, delle associazioni… Urge un dialogo, meglio un patto, tra media, cultura, educazione”.
Tra le sfide che i mass media pongono alla Chiesa, mons. Peter Henrici – vescovo ausiliare di Coira-Zurigo a cui sono state affidate le conclusioni dell’incontro – ha indicato il linguaggio (le parole e i simboli della Chiesa siano resi comprensibili), la capacità comunicativa (ciò che “passa” sono le personalità con i loro vissuti) una nuova inculturazione della fede (il dialogo tra vita e Vangelo che si presenta come una “nuova incarnazione”). Sempre ricordando che “la fede si può raccontare e comunicare attraverso i mass media, ma non trasmettere, perché presupposto dell’esperienza di fede è ancora e sempre l’incontro personale con il Cristo”.