editoriale" "

Un linguaggio che sorprenda” “

Anche per la Chiesa il miglior modo di comunicare un messaggio è tramite "testimoni"” “

“Società mediatizzata”: una nuova cultura che si sta rapidamente insediando in tutta l’Europa, inconsapevole dei contributi più importanti dati dal cristianesimo alla cultura europea. E’ questa vera e propria rottura culturale che l’incontro dei Vescovi europei incaricati dei mass media ha cercato di valutare, dal 19 al 22 settembre, ad Aix-en-Provence (cfr.pag.2). In effetti, sebbene i media non siano l’unica fonte di questa nuova cultura, vi hanno un ruolo centrale: la legittimano rispecchiandola e la rinforzano diffondendola. Ora, quando si parla di cultura originale significa per la Chiesa necessità di lavorare sull’inculturazione del Vangelo, ossia cercare di incarnare la fede in questa cultura per riconoscere i frutti dello Spirito e nel contempo provare ad umanizzarla, a contestarla, insomma a “salvarla”. Ecco il problema di fondo con il quale oggi la Chiesa si confronta. Nessuna condanna dei media (rituale per molti cristiani), bensì un cambiamento decisivo già presente nel titolo del Convegno: proponendo di “comunicare” la fede “nella” società mediatizzata, non si ha più come primo obiettivo “di annunciare” la fede “tramite” i media, in una prospettiva strumentalizzante che ha peraltro ampiamente mostrato i suoi limiti. Partecipi della cultura attuale, i media non sono atti a trasmettere la fede obiettiva; non sono luoghi possibili per una simile trasmissione. In compenso, è possibile “comunicarvi” la propria fede soggettiva, tanto più che ormai cultura e comunicazione coincidono. Occorrono però due condizioni fondamentali. Innanzitutto, una delle leggi di questa società mediatizzata è che il miglior modo di comunicare un messaggio è tramite “testimoni” che si impegnano personalmente. Certo, si tratta di una fortuna per il cristianesimo, eretto sin dalle sue origini sulla “testimonianza” personale, prima di Gesù, poi degli Apostoli e infine dell’insieme dei cristiani. Inoltre, nella società europea ormai pluralista e democratica, il metodo della testimonianza ci consente di dire le nostre convinzioni, dialogando contemporaneamente con le altre correnti della società. In effetti, la società mediatizzata non segna solo l’avvento di una nuova cultura ma anche la fine del regime di “cristianità” in cui la Chiesa agiva attraverso le istanze del potere. La seconda condizione per un’inculturazione della fede nella società mediatizzata è legata al linguaggio. Dal punto di vista (sociologico) del suo rapporto con la Chiesa, la popolazione europea può essere suddivisa in tre gruppi. Un primo gruppo, sempre più in minoranza, riunisce i cristiani convinti, familiari del linguaggio tradizionale in uso in seno alla Chiesa. E’ innanzitutto a loro che potranno rivolgersi i media cristiani (non senza assicurarsi prima che questo linguaggio tradizionale sia ancora intelligibile alle generazioni più giovani e ai ceti popolari). Un secondo gruppo, il più numeroso in Europa, ha perso tutte le consuete relazioni con l’istituzione ecclesiale e spesso anche con la cultura cristiana, rimanendo tuttavia sensibile alla dimensione religiosa o spirituale dell’esistenza. Comunicare la fede suppone allora parlarne con questo gruppo usando il linguaggio dell’esperienza umana con le parole più forti, più eloquenti. Per i media cristiani (in particolare quelli che mirano ad un pubblico generico), la difficoltà sarà allora sapere quando utilizzare il linguaggio tradizionale e quando un linguaggio meno convenzionale, comprensibile a tutti, credenti o meno. Viene infine il terzo gruppo che include soprattutto giovani, universitari e lavoratori e che non risente alcun interesse per le questioni religiose. Per questo gruppo sarà necessario rettificare l’immagine spesso negativa che ha della Chiesa: bisognerà saper sorprenderlo con un linguaggio inaspettato sulle questioni della società che possono interessarlo. Ma se ci fosse una sola conclusione da trarre da questo incontro, sarebbe che ci ha ricordato la condizione di base di ogni parola di fede, anche in una società mediatizzata: poiché si tratta per noi di “parlare al cuore”, dobbiamo prima sapere tacere per ascoltare con attenzione, rispetto ed amicizia quel che sale dal cuore dei nostri contemporanei.