Il "nodo" della politica estera” “

La crisi irachena mostra, una volta di più, che è la politica estera comune uno dei problemi principali che la Convenzione europea deve risolvere ” “

Studiosi e politici, italiani ed europei, si sono confrontati per due giorni sul tema del “sistema politico europeo”, durante il convegno internazionale promosso a Napoli, il 26 e 27 settembre, dal Centro di ricerca sulle istituzioni europee (Crie), dalla rappresentanza in Italia della Commissione Europea e dall’Istituto universitario Suor Orsola Benincasa. L’incontro ha fatto il punto sul cammino dell’integrazione europea.

E’ contraddittorio “avere un’Unione Europea ‘gigante economico’ ma senza una politica estera comune”, osserva Juan Aviles, docente di Storia contemporanea all’Università nazionale di educazione a distanza di Madrid. “Di fronte alle grandi questioni, come quello della guerra irachena – aggiunge Aviles – l’Europa non è in grado di avere una posizione comune e i diversi Paesi prendono le loro decisioni in autonomia. Questo è un grave problema. L’unica soluzione sarebbe avanzare istituzionalmente verso una maggiore integrazione. Dall’esperienza degli ultimi dieci anni, dal conflitto nella ex Jugoslavia fino ad oggi, mi sembra molto difficile che attraverso la via intergovernativa 15 Paesi riescano a raggiungere una politica estera comune”. Attualmente, però, dichiara Aviles, “di fronte ai due progetti, uno ‘integrazionista’ e tendenzialmente federalista e l’altro favorevole ad Unione Europea intesa come affare intergovernativo, la seconda posizione risulta prevalente, come accade anche in Spagna con il governo Aznar. Al contrario, io sono convinto che, nello spirito dei padri fondatori della Comunità, trarremo maggiori benefici se fosse preferita la tendenza all’integrazione”.
E’ d’accordo Piero Craveri, preside della facoltà di Lettere dell’Istituto universitario Suor Orsola Benincasa e direttore del settore storico del Crie. “Il percorso verso le nuove istituzioni europee, intrapreso un anno fa dalla Convenzione nominata per redigere la bozza del nuovo trattato costituzionale europeo, entra ora nel vivo, a seguito delle elezioni francesi e tedesche”, commenta. Ma un nodo che presto verrà al pettine riguarda la politica estera comune. “L’Europa – denuncia Craveri – è incline ad un forte neutralismo, risultato non tanto di una decisione politica, quanto della sua incapacità ad assumere qualsiasi posizione, come evidenzia la questione della guerra all’Iraq, nei confronti della quale emergono solo le scelte degli Stati nazionali”.
“Oggi siamo di fronte all’importante sfida dell’allargamento alla quale bisogna aggiungere quella dell’Unione economica e monetaria, della politica estera, della sicurezza, di tutte le questioni riguardanti la giustizia e gli affari interni. Tutto questo si traduce concretamente nel rivedere tutte le nostre procedure istituzionali per renderle più democratiche ed efficaci”, aggiunge Jean Victor Luis, docente di Diritto comunitario all’Università di Bruxelles e presidente della “Academic Agora on the future of Europe”. I partecipanti alla Convenzione, che sta preparando il trattato del 2004, a giudizio di Luis, “sono in un certo senso i padri fondatori di un sistema che si situa come continuazione del processo di integrazione europea, cominciato negli anni Cinquanta, con sei Stati membri che, dopo l’allargamento, ne riunirà 27”.
Le difficoltà non mancano, come dimostra la questione irachena, ma non è detto, spiega Luis, che non ci siano risvolti positivi. “L’opinione pubblica, da un lato, si accorge che non c’è unità politica e dall’altro, ne coglie la necessità. Evidentemente le conseguenze economiche di una crisi in Iraq, con l’aumento del prezzo del petrolio, potrebbero avere effetti negativi per il lavoro della Convenzione ma tale sfida tale deve incitare a progredire sulla via dell’integrazione”. “In passato – chiarisce Luis – il pericolo sovietico ha stimolato il compimento dell’Unione Europea. I fattori esterni, infatti, possono favorire davvero l’integrazione interna. Comunque, al di là della guerra in Iraq, gli Stati dovranno decidere da che parte stare e realizzare una vera coesione e solidarietà”.
Gigliola Alfaro