editoriale" "

Il primo compito” “

In Europa molti non pongono domande sulla fede. Ma la testimonianza apre i cuori” “

In occasione dell’assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) che dal 3 al 6 ottobre riunirà a Sarajevo i presidenti di 34 Conferenze episcopali, pubblichiamo una riflessione di mons. Amédée Grab , vescovo di Coira (Svizzera) e presidente del Ccee.

La predicazione del Vangelo in Europa è il nostro primo compito. Come Consiglio delle Conferenze episcopali europee siamo mossi dalla preoccupazione di annunciare la Parola di Dio nell’attuale situazione del nostro continente. Sebbene la situazione in Europa centrale e orientale sia diversa rispetto all’Europa occidentale, siamo consapevoli del fatto che la predicazione della buona novella richiede ovunque il nostro massimo impegno.
Molti di noi erano presenti alla Giornata mondiale dei giovani di Toronto. Molti giovani europei hanno partecipato ed hanno accolto l’invito di Cristo, facendolo programma di vita: “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo”. Se non hanno dimenticato quell’invito, oggi quei giovani ci chiederanno come essere sale della terra e luce del mondo. Dobbiamo dare loro una risposta, non semplicemente in termini di incoraggiamento. Ce lo hanno detto chiaramente durante il simposio dei vescovi europei che si è svolto a Roma alla fine di aprile di quest’anno. Abbiamo la responsabilità di rendere comprensibili i contenuti della predicazione della Chiesa e rendere riconoscibili e accessibili i luoghi in cui può realizzarsi la comunità di fede.
Svolgere un lavoro ecclesiale costante con i giovani è oggi più difficile rispetto all’organizzazione di grandi eventi. Poter vivere anche nel quotidiano qualcosa di forte è oggi una delle più grandi aspettative che gli uomini e le donne di questo continente hanno nei confronti della Chiesa.
Nel corso dell’ultimo incontro promosso due settimane fa dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e dal Ccee a Strasburgo sul tema del buddismo in Europa, è stata affrontata in modo chiaro la questione: perché nei nostri Paesi sempre più persone cercano una patria spirituale nel buddismo? Non si tratta solo di consentire l’accesso a luoghi di convivenza nelle parrocchie e nei movimenti, in un’epoca di individualismo crescente. Si tratta di fare in modo che la spiritualità possa essere vissuta.
Nella nostra Europa, molti non pongono espressamente domande sulla nostra fede e non ci pregano affatto di rendere conto della speranza di cui siamo portatori. Ma la testimonianza di fede che avviene in modo aperto, non polemico, nata dall’amore, apre i cuori di molti concittadini europei, soprattutto se è legata alla testimonianza dell’amore. Il nostro impegno sociale, la cura dei malati, degli emarginati della società, degli immigrati e dei profughi, le proposte per le famiglie, per i politici, gli artisti, gli operatori dell’arte e dei media vengono sempre più accettati.
Tutto ciò, senza dimenticare i problemi del dialogo tra la Chiesa e la politica all’interno dell’Unione Europea e nella prospettiva del suo allargamento, nonché i problemi etici più attuali: bioetica, eutanasia, pedofilia. La nostra predicazione deve interessarsi direttamente di questi problemi, il che presuppone una buona conoscenza e una costante collaborazione con i protagonisti politici e con la scienza. L’11 settembre 2001 ha scosso tutto il mondo e ha fatto capire a tutti che per la sopravvivenza dell’umanità è urgente definire le basi della convivenza di tutti i popoli. Lotta alla povertà, riconoscimento della dignità umana dei poveri, disponibilità dell’acqua, accesso alle cure mediche, istruzione scolastica, riconoscimento effettivo dei diritti umani: ai grandi problemi del nostro tempo verrà dedicato anche il nostro lavoro di questi giorni.