I timori dell’Europa orientale” “

” “Entusiasmo ma anche paura da parte degli abitanti dei paesi che entreranno a far parte dell’Unione Europea a partire dal 2004” “” “

Quanti sono i paesi d’Europa? Quindici, risponde un gruppo di studenti. E’ un errore che si ripete spesso. Confondere l’Unione Europea con i ben più numerosi 47 paesi del vecchio continente. Annelise Oeschger racconta così la sua esperienza come formatrice e delegata al Consiglio d’Europa del movimento internazionale Atd Quarto Mondo, una Ong fondata nel 1957 da Joseph Wresinski in una bidonville di Parigi. L’Europa unita, l’Europa “casa comune”, passa per le scuole, le università, i media. E’ con questa consapevolezza che si sono svolte le “Settimane Europee della Comunicazione 2002”, organizzate dall’Università Cattolica di Lione, che hanno visto la partecipazione di un gruppo di giovani giornalisti e professionisti della comunicazione provenienti in gran parte dall’Europa centro-orientale. Settimane di formazione ‘itinerante’ da Strasburgo (sede del Parlamento europeo, del Consiglio d’Europa e della Corte europea dei diritti dell’uomo), a Scy-Chazelles (luogo di origine di Robert Schuman, tra i ‘padri-fondatori’ dell’Europa) fino a Lione. In primo piano la questione dell’allargamento, termine che piace poco ai paesi dell’Est, dice Roja Thun, presidente della Fondazione Robert Schuman della Polonia, “al pari di ‘ingresso'”. Sensibilità da far crescere “se vogliamo costruire un’Europa di 480 milioni di cittadini”.

“L’Eurobarometro”. “Il 49% degli abitanti dei 15 paesi dell’Unione ritengono positivo l’allargamento ad Est. E ben il 59% di coloro che vivono nei paesi ‘candidati’ sono motivati positivamente”, afferma François Boursier, docente di Storia presso l’Università Cattolica di Lione, commentando il risultato di un sondaggio del marzo scorso. “Ma l’83% degli intervistati dei paesi UE si considera poco informato sui paesi candidati, il 44% ritiene che l’Europa debba allargarsi solo ad alcuni di loro, il 14% non vuole nuovi ingressi”, continua Boursier. “Segnali di paura e inquietudine, come dimostra quel 58% che dice sì all’allargamento ma senza concessione di denaro in forma di aiuti o fondi”. Un controsenso se si pensa che l’Europa è nata sul principio di solidarietà e sussidiarietà. E ad Est? “Il 65% degli elettori dei paesi candidati avrebbero votato per l’adesione”. I giovani sembrano entusiasti ma “la realtà è ben più complessa”, assicurano i giornalisti dell’Europa centro-orientale. Dieci paesi candidati (Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca e Ungheria) aderiranno già nel 2004. Rimangono fuori, per ora, la Bulgaria e la Romania, Turchia.

Raccontare l’identità.
“Possiamo dire che abitiamo in Europa, siamo in Europa, siamo dell’Europa ma non sappiamo dire cosa vuol dire ‘essere europei'”, nota Bruno-Marie Duffé, direttore dell’Istituto dei diritti dell’uomo presso l’Università Cattolica di Lione e filosofo politico. “Le piste di lavoro sono tre: l’appartenenza, la memoria e la solidarietà. Avere un’identità è avere nuovi criteri per raccontare le nostre radici, i nostri valori di riferimento e per avere una rappresentazione del futuro, un progetto, un sistema solidale di legami”. Comunicare una nuova appartenenza, dunque, senza correre il rischio però di “essere contemplativi dell’Europa, esteti dell’Europa”, come scriveva Ian Patocka, filosofo ceco, nel 1973.

Le minoranze. “In Europa, soprattutto ad Est, ci sono paesi che non hanno avuto tempo sufficiente per costruire l’identità e assimilare le comunità”, sostiene Yoseph Yacoub, storico, esperto di minoranze e docente all’Università Cattolica di Lione. “Questi paesi non riescono a sfruttare i fattori interni ed esterni per tenere unite le comunità presenti al loro interno. La coesistenza in alcuni casi non si può più realizzare. Ciascuna comunità ha la sua singolarità e teme di perderla. E’ notizia di questi giorni il caso dei 55mila russi in Lettonia che si vedono rifiutare la nazionalità e sono senza documenti. “I paesi dell’Est hanno molto da dire all’Occidente sull’identità, sul rispetto della memoria, sulla sofferenza, sul senso di appartenenza”, conclude Yacoub. E aggiunge: “L’Europa rischia di diventare astratta e soffre di amnesia. Può arricchirsi aprendosi ad Est”.
Valentina Conte