Dalla Spagna ai Paesi dell’Est, tutte le Chiese sono impegnate sia per promuovere i diritti degli immigrati sia per assistere i fedeli emigrati all’estero” “” “
La Spagna, dove gli immigrati sono il 2,5% della popolazione (con un aumento negli ultimi anni anche del 122%), si è trovata impreparata di fronte a questi arrivi recenti, per cui la Chiesa lavora molto sulla sensibilizzazione delle coscienze per non far percepire il fenomeno come una minaccia al benessere. Nelle diocesi si cerca di integrare gli immigrati cattolici nella vita delle parrocchie, mentre con i non cattolici si organizzano momenti di incontro e conoscenza reciproca. E’ inoltre in elaborazione un nuovo documento dei vescovi spagnoli sulla pastorale delle migrazioni. Anche in Portogallo l’immigrazione è recente, soprattutto dall’Ucraina (100.000 ucraini su un totale di 400.000 immigrati). Qui si è formato un collettivo di sei organizzazioni cattoliche che interloquiscono con il governo a favore dei diritti degli immigrati.
In Francia una parte del lavoro pastorale si rivolge ai giovani figli di immigrati, creando una rete sul territorio attenta a questa fascia d’età. Altro problema frequente è l’occupazione delle chiese da parte dei sans papiers e le difficoltà che incontrano i richiedenti asilo politico: a questo proposito la Chiesa francese ha pubblicato di recente un volume che denuncia le disfunzioni in Francia ed in Europa ed elenca una serie di proposte. L’ Italia è impegnata nella regolarizzazione degli immigrati che lavorano in nero e, a livello pastorale, nell’organizzazione di un convegno nel febbraio prossimo (con gli uffici nazionali catechesi, missioni e Migrantes) su come responsabilizzare gli immigrati nella vita ecclesiale e sociale. Nei Paesi scandinavi la comunità cattolica è molto piccola (dallo 0,2% al 2% della popolazione a seconda dei Paesi) ed è aumentata grazie alle migrazioni esterne. In Germania è stata varata lo scorso anno una nuova legge che punta sull’integrazione degli immigrati. Il grosso problema sono gli irregolari (stimati tra i 500.000 e 1 milione), a cui la Chiesa ha dedicato anche una pubblicazione. Tra le attenzioni prioritarie, l’accesso all’istruzione dei figli degli irregolari, il diritto alla salute e alle tutele in ambito lavorativo. Una situazione simile a livello legislativo è in Austria, dove integrazione significa imparare (altrimenti vengono espulsi). Qui la Chiesa fa sì che alcuni sacerdoti prestino metà del loro tempo in parrocchia e metà in una comunità etnica. Anche nei seminari si fa molta formazione sui temi delle migrazioni, spesso con visite alle moschee locali.
La Svizzera, con il 20% di stranieri sul totale della popolazione, è al terzo posto in Europa nel rapporto immigrati/residenti. Sta rivedendo la normativa sull’immigrazione, che diventerà più restrittiva nei confronti di chi non appartiene all’Unione europea, per questo la Chiesa si batte perché vengano garantiti i diritti dell’uomo e contro la tratta di donne a scopo di sfruttamento sessuale. In Irlanda l’immigrazione è iniziata solo 5 anni fa e da poco la Chiesa comincia ad affrontare il fenomeno come qualcosa di “permanente”. Nell’Est europeo spicca la situazione dell’ Albania, notoriamente terra d’emigrazione: il 50% degli albanesi è all’estero, il problema è costituito dalla giovanissima età di chi parte e dalle ragazze dei villaggi di montagna, spesso senza istruzione e sottomesse, che vengono coinvolte, loro malgrado, nella tratta a scopo di prostituzione. E’ qui che la Chiesa albanese cerca di intervenire con attività di formazione e sostegno all’imprenditoria giovanile nell’allevamento e nell’agricoltura, ma anche con informazione preventiva alle ragazze e sostegno abitativo quando, uscite dal giro della tratta, vengono rifiutate dai familiari. La Polonia è impegnata nel sostegno alle missioni dei connazionali all’estero ma da poco tempo sono iniziati piccoli flussi di ucraini, slovacchi, turchi e russi. L’ Ungheria accoglie invece 15.000 profughi dall’Afghanistan e dal Kazakistan ed è molto coinvolta nella pastorale con gli zingari. Vi sono addirittura delle parrocchie organizzate da zingari. La Romania ha visto emigrare in dieci anni, tra gli 800.000 e 1 milione di cittadini verso Europa, Usa e Canada, e ancora di più la Bosnia e la Croazia, con 2 milioni di croati e bosniaci all’estero. Anche la Slovacchia da Paese d’emigrazione è diventato da poco luogo d’arrivo di immigrati ucraini e così la piccola isola di Malta, via di transito degli irregolari dal Nord d’Africa e dalla Turchia.
P.C.