Il tragico attentato di Bali, in cui quasi 200 persone hanno perso la vita e più di 300 sono state ferite, ha fatto “salire” ancora l’attenzione dedicata dai principali quotidiani europei alla lotta al terrorismo e ai possibili “venti di guerra” in Iraq. Il più grave attentato terroristico contro l’America, dopo quello alle Torri Gemelle: è, in sintesi, la definizione dell’ Herald Tribune (15/10) che il giorno seguente (16/10) sottolinea come “il massacro del weekend in un locale notturno indonesiano nell’idilliaca isola di Bali, a prima vista opera di Al Qaeda e di alleati locali, è un’orrenda testimonianza del fatto che gli estremisti islamici che hanno come bersaglio l’America e l’Occidente possono essere in fuga ma non sono sconfitti (…). La guerra contro il terrorismo richiede che Washington costruisca e guidi un’ampia coalizione che adoperi la diplomazia così come gli armamenti militari e la tenga insieme per molti anni a venire. Non è chiaro come la guerra in Iraq influenzerà questo sforzo ma gli eventi delle ultime settimane richiamano alla mente che è più facile rendere le cose più difficili che facili”. “La nebulosa del terrore”: si intitola così un articolo di La Croix (14/10), in cui Francois Ermenwein fa notare che la tragedia di Bali riporta in auge “la discussione sull’analisi della minaccia e sui mezzi utilizzati” nella lotta al terrorismo. Quello attuale, infatti, secondo l’editorialista del quotidiano francese “è un movimento largo, con delle reti non sempre collegate. Non assomiglia ad un’organizzazione molto strutturata, come si immagina talvolta dai servizi di informazione. Individui, piccoli gruppi prosperano sparsi sulla contestazione dell’Occidente, nutrita da frustrazioni consumistiche e da fondamentalismi intimamente legati tra loro“. “Bali: gli Stati Uniti e l’Indonesia accusano la rete di Al-Qaeda”, è invece il titolo di apertura di “Le Monde” (16/10), in cui si fa osservare che “il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha affermato, lunedì 14 ottobre a Washington, che si possono attribuire gli attentati di sabato a Bali alla rete di Al-Qaeda”: anche il governo indonesiano, rileva il quotidiano francese, si è “dichiarato certo del coinvolgimento della rete di Osama Bin Laden”, grazie alla “collaborazione dei terroristi locali”.
L’attentato a Bali, il terrorismo islamico e la crisi irachena: questi i principali temi dei commenti della stampa tedesca. Sulla Süddeutsche Zeitung del 14/10, Stefan Kornelius scrive: “ Il terrore è onnipresente, accompagna ormai la quotidianità e per i suoi autori è tutt’altro che insensato, brutale ed arbitrario. In Germania come in molte società europee continua la gente affronta questo terrore con incredibile perplessità… Nessuna strategia può essere seriamente efficace se le società islamiche non scomunicano gli estremisti presenti nelle loro fila“. Su Die Welt del 14/10, Michael Stürmer analizza l’attentato di Bali: “ Finora, l’Europa è rimasta ai margini degli attentati terroristici più per debolezza che per la propria forza. Ma nessun adeguamento, nessuna tolleranza, porterà gli aggressori a risparmiare gli europei. La prevenzione è inevitabile. Se quest’analisi non viene condivisa, o se i desideri e le campagne elettorali contrastano la strategia, tra America ed Europa si apre un baratro svantaggioso per l’America e pernicioso per l’Europa. Perché se hanno ragione i servizi segreti americani, l’Europa non è meno minacciata dell’America: ma lo sono soprattutto lo Stato d’Israele e i regimi conservatori” arabi. La Frankfurter Allgemeine Zeitung del 16/10 dedica un commento alla rielezione del raïs iracheno: “ Saddam Hussein può essere ‘riconfermato’ anche con il cento per cento dei voti ma ciò non cambia il fatto che con le guerre in soli vent’anni ha portato alla rovina l’Iraq, il Paese su cui si concentravano le maggiori speranze della regione, corteggiato per questo anche da quei governi occidentali che oggi vogliono liberarsi del dittatore“. Anche il settimanale Der Spiegel del 14/10 dedica ampio spazio alla situazione irachena: “ Da tempo, il dittatore ha perso il contatto con la desolante realtà dei suoi sudditi“. Lo sfacelo del Paese “ potrebbe essere ancora più pericoloso della pressione militare americana. La ricetta di Saddam contro la disintegrazione in atto della società: islamizzazione… Il regime cerca attivamente di incollare le crepe ormai evidenti della società con il mastice della religione“.