turchia" "

Nessuna sorpresa” “

” “La Chiesa spera nella moderazione e ” “nell’apertura della nuova forza di governo, il partito neo-islamico Akp vincitore ” “delle elezioni” “” “


Con il 34,40 per cento dei voti il partito neo-islamico “Giustizia e sviluppo” (Akp), con il suo leader Recep Tayyip Erdogan, ha vinto le elezioni in Turchia del 3 novembre. Una tornata elettorale che ha rinnovato per il 90 per cento l’intero Parlamento turco, composto da 550 seggi, dove ora siedono solo due forze: l’Akp con 363 deputati (maggioranza assoluta) e il Chp, il “partito repubblicano del popolo” laico e socialdemocratico, con il 19,2 per cento dei suffragi. Tra gli eletti anche 24 donne, 13 nelle file dell’Akp ed 11 nel Chp, una in più rispetto alla precedente legislatura e 9 candidati indipendenti. Restano fuori tutti gli altri partiti in lizza che non hanno raggiunto la soglia del 10 per cento e dunque non hanno diritto ad una rappresentanza parlamentare. Tra questi anche il partito di sinistra democratica dell’ex premier Bulent Ecevit che ha preso solo 1,22 per cento di consensi.

“Risultati che non sorprendono”. E’ questo il commento di mons. Georges Marovitch, portavoce della Conferenza episcopale turca (Cet), alle elezioni che si sono tenute il 3 novembre in Turchia. Sorprende, invece, secondo mons. Marovitch, che “forze politiche come Madrepatria, Retta Via e Partito democratico di sinistra non abbiano raggiunto lo sbarramento del 10% previsto dal sistema elettorale e siano dunque destinati a restare fuori dal Parlamento”. Tuttavia, ricorda il portavoce della Cet, “l’Akp rappresenta l’Islam moderato ed è aperto al dialogo. Lo stesso presidente del partito, Recep Tayyip Erdogan, ha affermato che lui e il suo partito lavoreranno per l’ingresso del Paese nell’Unione europea. Esiste una maggioranza sufficiente per approvare la manovra di aggiustamento per l’UE”. La speranza, conclude, è che “questi risultati portino dei benefici alla nazione. In particolare le leggi contenute nel pacchetto di riforme varato lo scorso mese di agosto contiene articoli che riguardano le fondazioni religiose. La procedura della legge non è abbastanza trasparente ma speriamo che con il nuovo Governo questa possa essere chiarita”. “Prima di dire quali conseguenze potrà avere il voto anche sui rapporti con le minoranze religiose – è il parere di mons. Ruggero Franceschini, presidente della Conferenza episcopale turca – bisogna aspettare l’evolversi degli eventi, gli incarichi che saranno affidati all’interno del nuovo Governo e le disposizioni che questo intenderà varare”.
Secondo padre Pasquale Borgomeo, direttore generale di Radio Vaticana “anche se previsto, il successo elettorale dell’Akp partito neo-islamico ‘Giustizia e Sviluppo’, sorprende per le sue proporzioni”. “Ingigantito dal sistema elettorale vigente – ha detto il gesuita a One-O-Five live, il canale in fm dell’emittente pontificia – il risultato dà ai vincitori la maggioranza assoluta di seggi in parlamento e quindi consente loro di governare senza ricorrere ad alleanze”.
Un successo, per p. Borgomeo, destinato ad avere riflessi nello scacchiere internazionale, specie adesso che si parla sempre più insistentemente della guerra all’Iraq. “Spazzata via la vecchia nomenclatura – ha aggiunto – resta poco spazio a formazioni estremiste. Di matrice islamica moderata, il partito vincitore si dichiara democratico, non anti-occidentale, anzi più che mai desideroso di portare la Turchia in Europa ma ancor più restio del governo precedente ad appoggiare gli Stati Uniti in un attacco all’Iraq”. Tuttavia, secondo il direttore della Radio Vaticana, “il risultato delle elezioni turche non è il solo elemento ad avere riflessi sul quadro delle alleanze della superpotenza americana. Solo qualche settimana fa un segnale era giunto dal successo elettorale dei fondamentalismi islamici in Pakistan, Paese alleato. Più recente la presa di posizione dell’Arabia Saudita, altro Paese alleato, non disponibile a concedere agli Stati Uniti l’uso di basi sul suo territorio in caso di attacco a Saddam Hussein. Ribadita anche dalla Germania, nel momento stesso in cui cerca di ricucire gli strappi nei rapporti con l’amministrazione Bush, la determinazione nel non seguire l’alleato in una guerra all’Iraq”.
Daniele Rocchi