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Al Social Froum Europeo, in corso a Firenze, il movimento dei Focolari ripropone ” “l’esperienza dell’economia di comunione che coinvolge già 800 imprese” “
“L’Europa ha tutte le caratteristiche per potersi proporre come continente-pilota per una globalizzazione a misura di persona, che dia voce a tutte le varie espressioni dei popoli e della società civile”. Ne è convinto Luigino Bruni , docente di economia politica all’Università statale di Milano-Bicocca, che affronta alcuni temi al centro del Social Forum europeo, in corso in questi giorni (fino al 10 novembre) a Firenze. Il Social Forum prevede oltre 160 seminari, 180 workshop, 30 conferenze che si svolgeranno principalmente nella Fortezza da Basso, 75 eventi culturali nella città e nei comuni limitrofi e la manifestazione finale contro la guerra del 9 novembre. Gli iscritti ufficiali sono circa 20.000, più 1.000 volontari. Bruni coordinerà il seminario autogestito dal Movimento dei Focolari sull’economia di comunione e numerosi sono gli appuntamenti sui temi della giustizia, della pace, dei diritti umani e del dialogo interreligioso promossi da alcune organizzazioni cattoliche (tra cui Rete di Lilliput, Pax Christi, Tavola della pace, ecc.).
I cattolici avranno come luogo d’incontro S.Maria Novella, dove verrà allestito uno spazio permanente di preghiera ecumenica. L’economia di comunione, nata nel ’91 in Brasile su idea di Chiara Lubich per far fronte ai contrasti tra ricchi e poveri, conta oggi 800 imprese in tutto il mondo, di cui 400 in Europa.
In cosa consiste l’economia di comunione? Le multinazionali che operano in Europa potrebbero accogliere questa sfida?
“Si tratta di trasformare le imprese tradizionali in imprese efficienti con extraprofitti da destinare in parte all’azienda, in parte ai poveri e in parte alla formazione culturale delle persone stesse, perché senza la cultura non si può avere un’economia duratura. In questo processo innovativo sono coinvolti i poveri stessi, con attività di artigianato o lavorando all’interno delle stesse imprese. Ora stiamo cercando di rivolgerci anche alle multinazionali. Certo è un sfida che richiede un coinvolgimento etico forte ma c’è una certa attenzione. Le stesse multinazionali stanno sviluppando una sensibilità sociale, anche perché altrimenti i consumatori non comprano più i loro prodotti. L’impresa deve seguire sempre più delle norme di comportamento etico anche sul fronte sociale. Oggi le imprese che non costruiscono il sociale e non distribuiscono parte della ricchezza direttamente alle persone in difficoltà subiranno la sorte che subiscono le imprese che inquinano, ossia verranno boicottate”.
L’economia di comunione è nata nel Sud del mondo. Sono necessari dei correttivi per applicarla alla realtà europea?
“Anche in Europa i poveri a cui vanno gli utili delle imprese sono sempre parte di una comunità, non è un progetto di assistenzialismo a poveri sconosciuti. C’è dietro un’idea di società civile composta da comunità di comunità. Alcuni poveri sono diventati oggi imprenditori perché sono stati trattati con pari dignità. Non si tratta di imprese ‘buone’ che danno soldi ai poveri ma di comunità della società civile che si organizzano per risolvere direttamente i problemi. Quindi anche l’idea europea è quella di una ‘Europa delle comunità’ ossia di una società civile matura che si organizza e nella quale le imprese si occupano di aspetti sociali. Non una Europa dove le multinazionali si accontentano di dare l’1% a chi è in situazione di difficoltà”.
L’Europa potrebbe fare da capofila nel proporre al resto del mondo un’economia più solidale?
“Certo. L’Europa ha una grande eredità che gli altri continenti non hanno. Ha una storia ricca, complessa e lunga. L’economia contemporanea non nasce solo dalle comunità protestanti – come sosteneva Max Weber – ma molto prima, dal cuore del Medioevo cristiano. Noi abbiamo una tradizione secolare di economia civile, cioè inserita nel sociale. Da questa tradizione antica – un patrimonio di storia, di idee, di errori, di tentativi – possiamo attingere le risorse per rispondere alle nuove sfide. L’Europa ha tutte le caratteristiche per potersi proporre come continente-pilota per una globalizzazione a misura di persona, che dia voce a tutte le espressioni dei popoli e della società civile internazionale”.
Patrizia Caiffa