Il “no” del parlamento iracheno alle ispezioni delle Nazioni Unite, che ha lasciato a Saddam Hussein “l’ultima parola” per l’accettazione della risoluzione, monopolizza l’attenzione dei principali quotidiani internazionali, impegnati ad interrogarsi sull’evoluzione futura della crisi Usa-Iraq. Di una “nuova risoluzione” e di una “cattiva scelta di tempi” parla l’ Herald Tribune (13/11) che osserva: “Gli Stati Uniti sono ora costretti dai tempi delle ispezioni. Secondo la risoluzione, gli ispettori hanno tempo fino al 23 dicembre per cominciare la loro attività e fino al 21 febbraio per presentare il loro rapporto al Consiglio di Sicurezza, che discuterà quindi le loro conclusioni. Qualsiasi azione militare, quindi, sarebbe sconsigliabile prima di marzo”. L’amministrazione Bush, spiega in altre parole il quotidiano americano , “dovrebbe scegliere tra due sgradevoli opzioni: o cominciare l’azione militare contro l’Iraq prematuramente, prima che il processo delle Nazioni Unite si sia concluso; o iniziare un’invasione militare in primavera, un periodo in cui le temperature crescono e le condizioni diventano sempre più dure. La prima opzione eliminerebbe la maggior parte, se non tutto, l’appoggio internazionale all’azione militare. La seconda è militarmente irresponsabile”. Sulla risposta di Saddam Hussein alla risoluzione delle Nazioni Unite si interroga Philip H. Gordon, su Le Monde del 13/11: dei tanti “scenari” ipotizzabili, scrive, quello “più probabile” è “una semi-accettazione delle ispezioni, un doppio gioco” che “metterà sommamente alla prova la comunità internazionale, la cui credibilità in sostanza, quella dell’Onu è stata impegnata dalla risoluzione 1441”. “Che si tratti delle premesse di una guerra in Iraq, del terrorismo o dei clandestini che affluiscono in Europa e senza tregua vengono respinti da essa, lo stesso interrogativo si impone: su quali valori poggia, oggi, il nostro mondo?”. Prende spunto dalla stretta attualità un’inchiesta realizzata da “La Croix” (12/11) sul tema: “Cosa valgono i nostri valori?”. “Gli attentati dell’11 settembre 2001 scrive Dominique Quinio nell’editoriale hanno travolto le certezze: quei valori che si ritenevano validi per l’umanità intera, quei valori dalla genealogia complessa che affondano le radici nella filosofia greca, nell’ebraismo e nel cristianesimo sembravano aver costruito una sorta di solida base per la buona marcia del pianeta; ed ecco che ora si trovavano violentemente negati”.
Anche la stampa tedesca si occupa diffusamente della risoluzione Onu sulla questione irachena e delle elezioni americane di medio termine, che hanno visto la conferma di George W. Bush e della sua posizione circa l’intervento in Iraq. “La speranza che la politica irachena di Bush, su cui si è votato, suscitasse negli americani l’opposizione manifestata dagli elettori tedeschi non si è realizzata”, osserva la Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) dell’8/11. “Al contrario: il deficit di legittimazione causato dal risultato risicato ottenuto alla sua elezione è stato definitivamente eliminato”. Sulla Faz del 10/11 si legge ancora: “Al centro delle discussioni e dei litigi sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza vi sono state anche questioni di status e di prestigio”, di “gerarchia nelle relazioni internazionali”. “L’America può raggiungere i propri obiettivi, modificandoli un po’; come attore l’Europa non esiste. Le ‘vecchie’ superpotenze Francia ed Inghilterra curano le loro parti da solista. La Russia e la Cina cercano di partecipare ma soprattutto non vogliono isolarsi dal circolo dei grandi. Non avendo imparato la sua parte, la Germania non ha potuto recitarla”. Nella Süddeutsche Zeitung del 9/11, Peter Münch commenta: “Con il previsto invio degli ispettori in Iraq la guerra non è diventata impossibile e nemmeno improbabile ma almeno è diventata meno probabile. Saddam ha veramente ragione di rallegrarsi: gli viene offerta in maniera insperata una possibilità di salvare il suo regime. Sarà l’ultima”. Die Welt del 10/11 pubblica un editoriale di Herbert Kremp che osserva: “Con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, Bush ha ottenuto tre risultati: ha obbligato le Nazioni Unite a prendere sul serio le proprie decisioni, ha legato la responsabilità della guerra e della pace alle reazioni di Baghdad e può riuscire ad ottenere lo scopo senza la guerra e le sue conseguenze”. Sulla decisione del parlamento iracheno di respingere la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, Dietrich Alexander scrive su Die Welt (12/11): “Il ‘no’ dei parlamentari dà a Saddam l’opportunità propagandistica di accettare la risoluzione contro l’ardente desiderio del popolo di salvare l’onore dell’Iraq, sottolineando così la sua disponibilità a collaborare”.