I rettori di alcune università europee spiegano il ruolo dei loro istituti nel processo di allargamento dell’Ue” “
Il processo di allargamento segna il “superamento di una innaturale divisione” dell’Europa. Lo ha detto Giovanni Paolo II , in occasione del suo storico discorso al Parlamento italiano; parole, quelle del Pontefice, che oggi risultano “profetiche”, dopo il recente vertice di Copenaghen, che ha aperto lo strada ad una Unione Europea “a 25 Paesi”. Sul tema dell’unità dell’Europa, il Papa è tornato l’8 dicembre, quando ha invitato “tutti gli europei ad essere uniti, per continuare ad offrire fiducia e speranza anche ad altri popoli”. Presenti all’appuntamento, anche i partecipanti al “II Forum degli studenti delle università più antiche d’Europa”, svoltasi a Roma dal 7 al 10 dicembre, in preparazione al Simposio del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa) che si terrà a Roma, dal 17 al 20 luglio 2003, sul tema “Università e Chiesa in Europa” (cfr. Sir Europa nn. 30, 34 e 35/2002). Di seguito, alcuni “pensieri” dei rettori sul processo di allargamento in atto nel nostro continente.
Polonia: integrazione, non “omologazione”. “Oggi siamo tutti europei”, ma “divisi in categorie: quelli già integrati, quelli in procinto di esserlo, e quelli in lista di attesa”. A farlo notare è Maria Nowaroska, vice-rettore dell’Università di Cracovia, secondo la quale anche le università devono dare il loro contributo “perché l’integrazione europea sia completa: non dobbiamo dividere il continente, ma integrarci. A partire, però, dalla consapevolezza che ‘integrazione’ non significa ‘omologazione’, ma rispetto della propria identità in spirito di collaborazione con le altre nazioni”. Solo così, per Nowaroska, l’università può diventare “una palestra di democrazia”; così come è stato e continua ad essere per la Polonia, che dopo il 1989 “aiuta le nuove generazioni ad apprendere come si ‘costruisce’ uno Stato democratico, una volta riacquistata l’indipendenza”.
Bosnia: “ricostruire i ponti”. Il ponte di Mostar, distrutto dalla guerra, è diventato il “simbolo” della tragedia in Bosnia: e proprio da Mostar viene oggi l’invito a “ricostruire il sistema delle università”, creando “ponti” in grado di “affrontare i cambiamenti in atto”. “Il rapporto tra cultura e globalizzazione sostiene Elbisa Ustamujic, rettore dell’università di Mostar va messo alla prova in tutti i livelli e in tutti i campi, anche in quello religioso, attraverso una maggiore apertura al dialogo. Le ideologie e il cinismo politico possono generare conflitti con conseguenze tragiche, come il genocidio: è ciò che è avvenuto nelle due guerre mondiali, ed in Bosnia”. Di qui la necessità, nel processo di allargamento europeo, di “elaborare criteri unificanti che sappiano riscoprire e riproporre il valore universale della cultura, come veicolo di pace e di tolleranza”.
Slovacchia: no alla “supremazia tecnologica”. “I cambiamenti in atto nell’ambito accademico riflettono i mutamenti dei sistemi di pensiero in atto nella società”, ed il “rischio” è quello di una “supremazia tecnologica” che può compromettere “una visione dell’uomo basata sul primato dell’etica sul mercato”. Ne è convinto Dusan Mlynarcik, vice-rettore dell’Università di Bratislava, secondo cui l’allargamento dell’Europa “deve fondarsi su un bilanciamento tra progresso tecnico-scientifico e sviluppo sociale, basate sul primato della vita morale”.
Austria e Norvegia: “secolarizzazione” e “mobilità”. La “secolarizzazione”, che “ha portato alla crisi delle chiese tradizionali” e ad una “religione quasi ‘sparita’ nella sfera del privato”, ha prodotto “due tendenze opposte ” nell’Europa attuale, “divisa tra i fautori e i contrari” a tale fenomeno. A denunciarlo è Paul Zulehner, rettore dell’Università di Vienna, per il quale il compito delle università è, ancora oggi, “lottare per la libertà e la giustizia”: anche nelle “società benestanti, in cui ciascuno può diventare superfluo, se non collabora, non sa abbastanza o possiede i geni sbagliati”. Un appello per la “mobilità studentesca” viene invece da Lucy Smith, vice-rettore dell’Università di Oslo, che considera i progetti promossi dall’Ue in questo campo “uno strumento per contribuire alla pace nel mondo, attraverso il dialogo tra le diversità”.
Maria Michela Nicolais