Soddisfazione mista ad una attenta analisi di cosa significherà “entrare in Europa” con le condizioni pur migliori ottenute nella trattativa di Copenhagen: è il mix di sentimenti che si respira in Polonia (il più grande tra i 10 nuovi paesi adernti all’Ue, con 39 milioni di abitanti, in larga parte agricoltori, 18,4% di disoccupati) a pochi giorni dal battesimo dell’Europa a 25, siglato nella capitale della Danimarca.
La Polonia ha, in effetti, ottenuto molto di più, in termini anticipati, rispetto a quanto previsto dagli orientamenti iniziali dei “quindici”: la richiesta governativa era di avere un miliardo di euro in più per gli anni 2004-5, da aggiungere ai 457 già garantiti per il 2004. La soluzione, proposta dai tedeschi, è stata di concedere due tranche di 500 milioni l’una a Varsavia, sottraendole dal pacchetto già stanziato di fondi strutturali di 8,6 miliardi di euro, tenuto conto delle prevedibili difficoltà dei nuovi paesi aderenti ad utilizzarli tutti secondo i rigidi standard che ne governano la concessione diretta. “Da noi, in Polonia, rimangono comunque alcune perplessità e domande dice mons. Zbigniew Kiernikowski, vescovo di Siedlce -. Intanto lo spostamento delle risorse destinate inizialmente al miglioramento delle strutture, potrebbe alla lunga rivelarsi penalizzante. Il problema più serio, dal punto di vista della comunità cristiana, è però quello di salvaguardare i valori spirituali, condivisi dalla maggior parte della popolazione. Il timore infatti è che si ingenerino pressioni per una unificazione del pensiero europeo attorno alla visione liberale laicista.
Pur in presenza di problemi di ordine morale – aggiunge mons. Kiernikowski -, abbiamo ancora una buona tradizione popolare cristiana. Ciò che si teme è di essere sottoposti a direttive, quali quelle su aborto, eutanasia, scuola laicista, che vadano contro queste antiche e sane tradizioni”.
L.C.