KOSOVO

Per una soluzione giusta

L’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche

La proposta di inserire l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche del Kosovo è tornata ad animare il dibattito politico kosovaro durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative che si sono tenute lo scorso 15 novembre. A sollevare la questione, ancora una volta, la Comunità Islamica Kosovara. Secondo però la loro proposta, l’insegnamento della religione a scuola prevede l’inserimento di un loro responsabile religioso nelle classi. I musulmani rappresentano il 90% degli oltre due milioni di abitanti della giovane repubblica che ha dichiarato unilateralmente la sua indipendenza da Belgrado il 17 febbraio 2008. I restanti sono cattolici (quasi interamente albanesi), circa il 4,5%, e ortodossi (quasi interamente serbi). Sulla questione, SIR Europa ha intervistato mons. Dode Gjergji, amministratore apostolico di Prizren e pastore della Chiesa Kosovara, che esprime alcune perplessità. Qual è la posizione della Chiesa sull’insegnamento della religione? “Pensiamo che non sia ancora il momento di inserire l’insegnamento della religione nelle scuole statali, però crediamo sia necessario avviare una riflessione sulla questione per trovare una soluzione giusta”.Quali sono le vostre perplessità?“Crediamo sia necessario, per prima cosa, rivedere l’impostazione della scuola, dell’educazione e della cultura per togliere quegli elementi del passato prevalentemente comunisti ed ateisti. Buona parte dei libri scolastici, a tutti livelli, hanno tutt’ora una impostazione di indifferentismo o ateismo, negativa nei confronti della religione. Dall’altra parte bisogna preoccuparsi di promuovere pace, riconciliazione e perdono come fondamenti per un dialogo sincero tra le diverse realtà. Questo perché vi sono zone dove il conflitto ha provocato divisioni che persistono tra persone, famiglie, comunità nazionali e religiose. Per questo riteniamo che sia meglio evitare tutto ciò che già, in partenza, appare complicato e ambiguo. Siamo convinti che l’insegnamento della religione nelle scuole statali, così come sarebbe ad oggi impostato, per il momento non sarebbe un contributo per la convivenza pacifica che stiamo cercando di costruire”.Qual è, allora, la strada da seguire?“Sarebbe opportuno pensare prima ad una materia che davvero possa promuovere una cultura religiosa nella società, con particolare attenzione per le religioni che sono tradizionalmente presenti come il cristianesimo e l’islam, nella chiave storica ed odierna, per far conoscere meglio agli alunni la situazione religiosa nella sua dimensione storica, e dare maggiori opportunità al dialogo interreligioso ed ecumenico”.La richiesta di introdurre l’ora di religione parte dalla comunità islamica. Pensa che ciò cambierà i rapporti nella comunità albanese tra musulmani e cattolici?“Penso e mi auguro di no! Discutiamo apertamente di tutto quello che ci riguarda e cerchiamo di esprimere la nostra posizione, sempre guidati dalla verità e nella carità. Il bene comune appartiene a tutti, e non soltanto a una parte, anche se questa parte fosse la maggioranza. La cultura pacifica ereditata nei secoli, non è frutto dell’uniformità, ma della buona volontà tra noi connazionali di accettare l’altro nella diversità”. A un anno e mezzo dall’indipendenza, quali sono le tematiche su cui come Chiesa invitate la società civile a riflettere?“Nell’editoriale dell’ultimo numero della nostra rivista mensile, Drita (La luce ndr), ho espresso alcuni criteri base per la scelta delle persone che guideranno la vita cittadina a livello comunale, basandosi soprattutto su valori e virtù umane e cristiane, come l’onestà, la sincerità, il dialogo, la collaborazione, la vita comunitaria, la difesa della vita in ogni sua fase e la tutela della famiglia. Insomma la politica dovrebbe essere al servizio dell’uomo, della famiglia e della società, e non viceversa. Il tema centrale di tutti partiti è stato, invece, purtroppo, promuovere se stessi con promesse immaginabili e irreali”. Com’ è la situazione in Kosovo oggi?“In generale la situazione è buona, si notano progressi nella comunicazione tra le diverse etnie. Anche i serbi gradualmente si inseriscono nella vita comune della società e nel campo ecumenico sono aumentati i contatti e il dialogo, anche se non a livelli ufficiali. Si nota anche un certo miglioramento nelle infrastrutture ma quello che ci tormenta è l’alta disoccupazione, la mancanza di prospettive per i giovani, a partire dall’educazione, e, poi, la povertà. Per poter migliorare tutto questo è necessario il riconoscimento del Kosovo da parte di altri Paesi, per poter far parte dell’Onu, come anche l’inserimento del Kosovo nella Comunità Europea”.In questo anno e mezzo sono stati fatti passi in avanti sul fronte del dialogo ecumenico con la Chiesa Ortodossa?“A livello di base, penso proprio di si, con il popolo, con alcuni sacerdoti ortodossi serbi e con monaci dei monasteri ortodossi, ma purtroppo, con la gerarchia siamo ancora fermi e bloccati. Noi preghiamo, speriamo ed aspettiamo”.