Castel Gandolfo
L’omelia e l’Angelus nella solennità dell’Assunzione
Nella solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, il 15 agosto, Benedetto XVI ha celebrato la Santa Messa nella parrocchia pontificia di San Tommaso da Villanova a Castel Gandolfo. Alle 12, poi, ha guidato la recita dell’Angelus dal balcone del cortile interno del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo.
Come Maria. Quest’anno, ha ricordato il Papa nella messa, ricorre il sessantesimo anniversario da quando il venerabile papa Pio XII, il 1° novembre 1950, definì solennemente il dogma dell’Assunzione: “Noi crediamo che Maria, come Cristo suo Figlio, ha già vinto la morte e trionfa già nella gloria celeste nella totalità del suo essere, ‘in anima e corpo’”. “Non ci limitiamo ad ammirare Maria nel suo destino di gloria è stato l’invito del Santo Padre come una persona molto lontana da noi: no! Siamo chiamati a guardare quanto il Signore, nel suo amore, ha voluto anche per noi, per il nostro destino finale: vivere tramite la fede nella comunione perfetta di amore con Lui e così vivere veramente”. A questo riguardo, il Pontefice ha precisato: “Noi tutti oggi siamo ben consapevoli che col termine ‘cielo’ non ci riferiamo ad un qualche luogo dell’universo, a una stella o a qualcosa di simile: no. Ci riferiamo a qualcosa di molto più grande e difficile da definire con i nostri limitati concetti umani”.
Non un’ombra. Con il termine “cielo”, ha chiarito, “vogliamo affermare che Dio, il Dio fattosi vicino a noi non ci abbandona neppure nella e oltre la morte, ma ha un posto per noi e ci dona l’eternità; vogliamo affermare che in Dio c’è un posto per noi”. Per comprendere un po’ di più questa realtà, ha proseguito, “guardiamo alla nostra stessa vita: noi tutti sperimentiamo che una persona, quando è morta, continua a sussistere in qualche modo nella memoria e nel cuore di coloro che l’hanno conosciuta ed amata”, anzi “in essi continua a vivere una parte di questa persona, ma è come un”ombra’ perché anche questa sopravvivenza nel cuore dei propri cari è destinata a finire”. Dio invece “non passa mai e noi tutti esistiamo in forza del Suo amore. Esistiamo perché egli ci ama, perché egli ci ha pensati e ci ha chiamati alla vita. Esistiamo nei pensieri e nell’amore di Dio. Esistiamo in tutta la nostra realtà, non solo nella nostra ‘ombra’. La nostra serenità, la nostra speranza, la nostra pace si fondano proprio su questo: in Dio, nel Suo pensiero e nel Suo amore, non sopravvive soltanto un”ombra’ di noi stessi, ma in Lui, nel suo amore creatore, noi siamo custoditi e introdotti con tutta la nostra vita, con tutto il nostro essere nell’eternità”.
L’Amore che vince la morte. È l’Amore di Dio che “vince la morte e ci dona l’eternità, ed è questo amore che chiamiamo ‘cielo’: Dio è così grande da avere posto anche per noi. E l’uomo Gesù, che è al tempo stesso Dio, è per noi la garanzia che essere-uomo ed essere-Dio possono esistere e vivere eternamente l’uno nell’altro”. Questo vuol dire, ha osservato Benedetto XVI, che “di ciascuno di noi non continuerà ad esistere solo una parte che ci viene, per così dire, strappata, mentre altre vanno in rovina; vuol dire piuttosto che Dio conosce ed ama tutto l’uomo, ciò che noi siamo. E Dio accoglie nella Sua eternità ciò che ora, nella nostra vita, fatta di sofferenza e amore, di speranza, di gioia e di tristezza, cresce e diviene. Tutto l’uomo, tutta la sua vita viene presa da Dio ed in Lui purificata riceve l’eternità”. Per il Papa, questa è “una verità che ci deve riempire di gioia profonda. Il cristianesimo non annuncia solo una qualche salvezza dell’anima in un impreciso al di là, nel quale tutto ciò che in questo mondo ci è stato prezioso e caro verrebbe cancellato, ma promette la vita eterna, ‘la vita del mondo che verrà’: niente di ciò che ci è prezioso e caro andrà in rovina, ma troverà pienezza in Dio”. “Allora si comprende come il cristianesimo ha evidenziato il Santo Padre – doni una speranza forte in un futuro luminoso ed apra la strada verso la realizzazione di questo futuro”. E “noi siamo chiamati, proprio come cristiani, ad edificare questo mondo nuovo, a lavorare affinché diventi un giorno il ‘mondo di Dio’, un mondo che sorpasserà tutto ciò che noi stessi potremmo costruire. In Maria Assunta in cielo, pienamente partecipe della Risurrezione del Figlio, noi contempliamo la realizzazione della creatura umana secondo il ‘mondo di Dio'”.
Un’antichissima preghiera. “La venerazione verso la Vergine Maria ha detto il Papa all’Angelus – accompagna fin dagli inizi il cammino della Chiesa e già a partire dal IV secolo appaiono feste mariane: in alcune viene esaltato il ruolo della Vergine nella storia della salvezza, in altre vengono celebrati i momenti principali della sua esistenza terrena”. “Artisti d’ogni epoca ha continuato – hanno dipinto e scolpito la santità della Madre del Signore adornando chiese e santuari. Poeti, scrittori e musicisti hanno tributato onore alla Vergine con inni e canti liturgici”. Da Oriente a Occidente “la Tuttasanta è invocata Madre celeste, che sostiene il Figlio di Dio fra le braccia e sotto la cui protezione trova rifugio tutta l’umanità”, ha affermato Benedetto XVI, prima di recitare un’antichissima preghiera: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta”.
a cura di Gigliola Alfaro