UNITA' D'ITALIA

Simposi rosminiani. In verità e libertà

Il pensiero di Rosmini e la cultura di oggi

“Antonio Rosmini e il problema storico dell’unità d’Italia”. Su questo tema si tiene a Stresa (Vb), fino al 28 agosto, l’XI corso dei Simposi rosminiani. A promuovere l’iniziativa, che conta oltre trecento partecipanti, il Centro internazionale di studi rosminiani, in collaborazione con il Servizio nazionale per il progetto culturale della Cei. “Questo undicesimo corso – spiegano i promotori – si propone di contribuire alle celebrazioni in corso del 150° dell’unità d’Italia nello spirito di uno dei maggiori protagonisti del Risorgimento italiano, Antonio Rosmini”. I “Simposi rosminiani” nascono nel 2000 come continuazione della “Cattedra Rosmini”, la quale, fondata da Michele Federico Sciacca nel 1967, ha svolto il compito di riportare la voce di Rosmini nel dialogo intellettuale contemporaneo. Essi si propongono di offrire a quelli che Rosmini chiama “amici della verità” e promotori di “carità intellettuale” un luogo, in cui poter approfondire, in piena libertà di spirito e con rispetto delle diversità, la soluzione dei problemi urgenti che si affacciano sul terzo millennio.

Chiesa e unità d’Italia. I lavori del corso sono iniziati, il 25 agosto, con l’intervento di Francesco Bonini, coordinatore scientifico del Servizio nazionale per il progetto culturale della Cei e direttore del Dipartimento di storia e critica della politica dell’Università di Teramo, sul tema “La Chiesa italiana di oggi, di fronte alle dinamiche dell’unità”. “Paradossalmente – ha detto Bonini – sembra prendere più iniziativa la Chiesa, che l’unità subì, piuttosto che lo Stato, che dell’unità fu il risultato”. In ogni caso, ha sostenuto Bonini, “come lo stesso card. Biffi aveva scritto in un libricino puntuto del 1999, il Risorgimento non può ricevere, entro la lunga storia d’Italia, una valutazione negativa. Noi anzi ameremmo qualificarlo come provvidenziale”.

Conoscere la storia. A Francesco Casavola, presidente emerito della Corte costituzionale, è toccato il compito di tenere la prolusione per l’apertura del corso. “L’unità morale degli italiani” il tema della prolusione. Facendo un excursus storico, partendo dai tempi del fascismo, Casavola ha ricordato che l’11 dicembre 1947 in un ordine del giorno l’Assemblea costituente esprimeva “il voto che la nuova Carta costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano”. Secondo il presidente emerito della Corte costituzionale, “la storia d’Italia è stata anche una storia tragica. Averla potuta conoscere avrebbe potuto aiutare a non ripetere errori, che non sono mai dovuti ad un fato invincibile”. “Come si mantiene viva la memoria dei sacrifici in vite umane, in sofferenze delle famiglie, in ingiusti destini, per poi richiedere speranza e plebiscito quotidiano, se la storia tace, se i media si dividono tra verità e menzogne?”, si è chiesto.

Il bene comune. A giudizio di Casavola, “l’ispirazione personalista e comunitaria della Costituzione del 1948 era dovuta ad una ritrovata unità morale, e poteva conservarla sotto forme di un patriottismo costituzionale, che va risuscitato oggi, per impedire che da prassi e progetti di riforme si realizzi l’eversione totale dell’impianto etico, politico e giuridico della Costituzione del 1948”. Per il presidente emerito della Corte costituzionale, “il secondo fattore di difesa dell’unità morale degli italiani sta nella dottrina cristiana del bene comune”, ma “le riforme del riconoscimento, della protezione e della promozione dei diritti umani sono complicati dai regimi politici, dai processi di globalizzazione sottratti alle sovranità degli Stati”. Inoltre, “i contenuti dei diritti umani per la loro onnicomprensività possono essere contrastati dallo sviluppo delle tecnologie e delle scienze. I diritti umani di ultima generazione, alla qualità della vita, all’ambiente e alla pace sono sintomatici della criticità della soglia cui è giunta la sempre più esigente meta del bene comune”. L’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI risponde “alle dinamiche di trasformazione della condizione umana nel nuovo millennio”.

La buona battaglia. “La Chiesa – ha aggiunto Casavola – non ha un ruolo nelle decisioni politiche. Investe del suo messaggio di verità e di salvezza le coscienze personali. Dovranno essere i credenti a compiere in totale libertà, scelte di vita personale e sociale, e dunque anche politiche, coerenti con quel messaggio”. La politica “non deve diventare un’insana libidine di potere, né deve essere disdegnata per i continui attentati cui dà luogo alle coscienze oneste. È per i cristiani una forma di carità, appunto per realizzare quel bene comune, privato di ogni egoismo e di ogni ingiustizia. Questa è l’armatura con cui combattere la buona battaglia contro quanti vogliono dividere gli italiani”. “Se sarà ben combattuta non con uno schieramento contro un altro, ma con la persuasione e il buon esempio da amico ad amico, da concittadino a concittadino, farà rinascere quella unità morale, che stiamo perdendo”, ha concluso Casavola.

a cura di Gigliola Alfaro