XXV CEN
La messa con gli ammalati a Loreto
"C’è una storia parallela a quella che ci propongono gli schermi televisivi: quella dei credenti in Dio, che occupano i primi posti nella graduatoria, quella definitiva, che Gesù proclamerà alla fine dei tempi. Voi sarete ai primi posti in quel giorno benedetto!". Con queste parole il card. Angelo Comastri, arciprete della Basilica vaticana, ha concluso l’omelia della messa che si è svolta oggi 6 settembre a Loreto, nella giornata del Cen dedicata alla fragilità. Un lungo applauso dei disabili e ammalati che hanno affollato la piazza assolata, con i loro accompagnatori e familiari, ha concluso la celebrazione eucaristica, caratterizzata da un’atmosfera di profondo silenzio e raccoglimento. Tra i presenti, anche un folto gruppo di giovani di "Agorà", a concelebrare circa 70 tra sacerdoti e vescovi. Il card. Comastri, nell’omelia, ha scelto di soffermarsi su tre "storie vere", simbolo dei "miracoli dell’Eucaristia". Protagoniste tre persone: Nino Baglieri, Benedetta Bianchi Porro e Maria Respigo. Tutte, ha spiegato il porporato, "sono venute al mondo per curare la peggiore malattia delle persone sane, l’egoismo, una malattia che far star male tantissime persone nel mondo". "Quante persone sane sono infelici perché egoiste", ha esclamato il cardinale.
Tre "miracoli eucaristici". "Per me tornare a Loreto è come rivivere un sogno, un sogno bello e mai dimenticato", ha esordito il card. Comastri, salutando "con affetto" tutti gli ammalati. "Ogni angolo di questa piazza è per me carico di ricordi", ha proseguito, citando per primo l’incontro con Nino Baglieri, per il quale la diocesi di Noto sta raccogliendo le testimonianze in vista della sua beatificazione: "Ogni volta che ricevo l’Eucaristia diceva Nino, paralizzato dal collo in giù da quando aveva 17 anni una grande forza mi entra dentro, e sorrido a coloro che hanno la salute ma non hanno la gioia, hanno da camminare ma non hanno la speranza. Sempre in questa piazza, il card. Comastri ha incontrato la mamma di Benedetta Bianchi Porro, a cui disse, quando a causa del rifiuto da parte del padre della malattia di Benedetta, aveva deciso di separarsi dal marito: "Se qualcuno sbaglia nei tuoi confronti o di altre persone, fagli sentire che lo ami di più: solo così proverà l’umiliazione per il modo in cui si è comportato". Infine, Maria Respigo, che quando l’hanno portata in piazza stava "in una culletta da bambini", ha ricordato il cardinale, a causa di una osteogenesi imperfetta. All’allora vescovo di Loreto, Maria Respigo consegnò un cuscino con su scritto: "Maria Respigo, felice di vivere".
Il dono più importante. "Il dono più importante che mi ha fatto la malattia è il credere he la grazia più importante, che gli altri chiedevano per me, non era la guarigione, ma il vivere nell’abbandono al Signore, il continuare a credere nel suo amore, a vivere dentro di esso". Lo ha detto Paola Bignardi, già presidente nazionale dell’Azione Cattolica, intervenuta all’incontro organizzato in Piazza della Madonna subito prima della messa con i disabili e gli ammalati, che hanno gremito la piazza davanti al santuario, nonostante sia inondata di un sole caldo che sta allietando anche la terza giornata del Cen. Nella parte finale del suo intervento, la relatrice ha ricordato che Giovanni Paolo II, sette anni fa, proprio qui a Loreto, compiva il suo ultimo pellegrinaggio, con l’Azione Cattolica: "Ricordiamo tutti ha detto quell’Eucaristia celebrata senza fiato, la sofferenza di ogni parola e ogni gesto, lo sforzo di ogni incontro". Anche da malato, Giovanni Paolo II "è stato fedele fino alla fine alla missione che il Signore gli aveva affidato", insegnandoci così "come si attraversa la malattia continuando a vivere, come si muore vivendo". Nella malattia, ha testimoniato Bignardi, "l’Eucaristia è stata la forza che, giorno per giorno, mi ha aiutato a non smettere di credere nell’amore e nella bontà della vita ". "La malattia ha proseguito – mi ha cambiato perché mi ha dato un altro punto di vista sulla vita: dal fronte dell’impotenza, della morte, le cose che contano ambiano, gli affetti sembrano più gratuiti. La malattia è una strada per scoprire dimensioni altre: la profondità, la gratuità, la forza che c’è nella debolezza". "La malattia ha concluso la relatrice – mi ha insegnato che il valore della vita non sta in quello che facciamo, ma nell’amore di cui i gesti più semplici sono carichi. La vita non consiste in quello che riusciamo a realizzare, ma nel dono che facciamo di essa".