Sir Regione
Un protocollo d’intesa con il Dipartimento di giustizia minorile
Un protocollo d’intesa per la promozione d’interventi e attività finalizzati al sostegno educativo, alla formazione e all’inserimento lavorativo per i giovani ristretti e/o in uscita dagli istituti penali minorili e/o in area penale. A siglarlo, nei giorni scorsi, la Regione Campania e il Dipartimento della giustizia minorile – Centro per la giustizia minorile per la Campania, che si propongono in tal modo di creare sinergie utili tra enti privati e istituzioni pubbliche che permettano d’intervenire, in modo integrato e coordinato, sui bisogni delle persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria e dei loro familiari attraverso lo sviluppo di percorsi d’inclusione sociale nonché sull’individuazione di opportunità lavorative. Tali finalità potranno essere realizzate attraverso percorsi personalizzati di orientamento, formazione, avviamento al lavoro, inserimento-reinserimento professionale, borse lavoro, al fine di ridurre il pericolo di recidiva dopo la fuoriuscita dal carcere.
Piccolo passo. Il protocollo è “un piccolo passo concreto che un’amministrazione di buon governo deve fare”, osserva Geppino Fiorenza, referente di Libera per la Campania, che precisa: “Dico piccolo perché naturalmente rispetto al panorama generale della crisi, rispetto al taglio delle iniziative degli interventi di welfare il protocollo è poca cosa. Infatti, la lotta alla criminalità organizzata passa non solo attraverso la repressione, ma soprattutto attraverso politiche sociali accoglienti”. Dal punto di vista della progettualità, evidenzia Fiorenza, “questo protocollo è, comunque, importante perché non c’è altra possibilità che quella di fornire dei modelli culturali diversi ai ragazzi che sono andati in galera e magari non sono ancora reclutati nella manovalanza criminale, ma lo potrebbero essere. Chi ha a che fare con il carcere è sempre ‘borderline’. Non c’è esperienza migliore di offrire un’opportunità lavorativa e di aggregazione positiva. È importante fare trincea anche nelle piccole cose. E in questo la Regione Campania si conferma positivamente”.
Dare speranza. “È un protocollo fondamentale: il lavoro è quello che dà a un ragazzo la speranza”, dichiara Piero Avallone, giudice del Tribunale per i minorenni di Napoli. “Uno dei grossi problemi dei ragazzi in Campania – chiarisce – è non avere una prospettiva per il domani. E questo è anche uno dei motivi per cui i giovani della nostra regione sono facile preda della criminalità organizzata, che offre una facile opportunità di guadagno. Questo protocollo è un modo per dire che lo Stato c’è ed è un amico, non è un’entità che punisce solo, ma dà una mano”. In effetti, lo Stato cerca di aiutare i minori che commettono reati anche attraverso l’istituto della messa alla prova: “Durante un processo – spiega il giudice minorile – se un ragazzo, che ha commesso un reato, ammette la colpa e dichiara di essere pentito, è possibile sospendere il processo per un periodo che va fino a tre anni, mettendo alla prova il minore con un programma apposito, che prevede un lavoro, fare volontariato, tentare la conciliazione con la parte lesa”. Ma c’è un problema: “Il lavoro che questi ragazzi trovano – sottolinea Avallone – di solito è in nero. Allora il protocollo d’intesa, come la messa alla prova, potrebbero funzionare meglio se venisse fatta una semplicissima modifica legislativa a costo quasi zero che prevedesse che i ragazzi che rientrano in questo tipo di progetti possano essere assunti con contributi zero”. Interventi a favore dei minori a rischio sono necessari: “Mentre al Centro Nord c’è una prevalenza di minori stranieri che delinquono rispetto a quelli italiani, qua sono tutti autoctoni. Due i motivi: gli stranieri qui sono pochi, perché sono di passaggio verso il Nord; da noi, poi, non c’è lavoro neanche per i nostri, che sono i primi a delinquere”. A queste motivazioni strutturali “si devono aggiungere le nuove povertà della solitudine, culturale, di messaggi che arrivano dai mass media”.
Terapia efficace. “Dare lavoro ai ragazzi e inserirli nella società attraverso dei progetti è la migliore terapia contro le organizzazioni sia del crimine comune sia della camorra”, sostiene don Luigi Merola, fondatore della associazione “‘A voce de’ creature” di Napoli. “Ben vengano – dice – protocolli come questo. Il rischio di ricadere in circoli pericolosi è alto per giovani che sono stati in istituto: fuori nessuno sta ad attenderli a braccia aperte, perché sono marchiati. Gli imprenditori non vedono questi ragazzi come risorse ma come nemici. Si deve far capire che nessuno nasce delinquente e che se questi ragazzi nel carcere e con le associazioni fanno un cammino devono essere sostenuti e aiutati a inserirsi nel mondo del lavoro”. Anche per il sacerdote, “va bene questo protocollo, ma è necessario ripensare le politiche di welfare. La repressione costa di più allo Stato che non la prevenzione. D’altro canto, è anche una questione culturale: questi ragazzi non hanno capito l’importanza di studiare per un riscatto delle loro vite, vengono da famiglie disagiate dove l’unica maestra è stata la strada”.
a cura di Gigliola Alfaro(21 dicembre 2011)