Testimone
Intervista con monsignor Loris Francesco Capovilla, segretario particolare di Giovanni XXIII per oltre un decennio, quindi arcivescovo di Chieti-Vasto e delegato pontificio del Santuario di Loreto. Mons. Capovilla vive dal 1988 nel ritiro di Sotto il Monte, paese natale di Papa Roncalli. È qui che lo abbiamo raggiunto, in occasione dei 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, per ricordare quella “esperienza straordinaria” e gettare uno sguardo sulla vita della Chiesa: “Ho scelto per me, in questo ultimo tratto della vita, un motto tratto dal discorso di apertura del Concilio: ‘Tantum aurora est’. È quello che disse Papa Giovanni ai vescovi: abbiamo celebrato una grande giornata, abbiamo avviato un evento religioso voluto da Dio, ci prodighiamo con tutta la nostra buona volontà ma non ci facciamo illusioni perché siamo appena all’aurora della giornata cristiana”
“Ogni giorno mi domando: ma tu, piccolo Capovilla, che ti chiami addirittura vescovo della Chiesa, sei cristiano? Perché non basta essere vescovo o cardinale. Per essere cristiano bisogna essere fedele e costante discepolo di Gesù, e questo è molto arduo per tutti noi”. Segretario particolare di Giovanni XXIII per oltre un decennio, quindi arcivescovo di Chieti-Vasto e delegato pontificio del Santuario di Loreto, monsignor Loris Francesco Capovilla vive dal 1988 nel ritiro di Sotto il Monte, paese natale di Papa Roncalli. È qui che lo abbiamo raggiunto, in occasione dei 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, per ricordare quella “esperienza straordinaria” e gettare uno sguardo sulla vita della Chiesa.
Eccellenza, oltre al valore storico e rinnovatore, il Concilio è stato anche un evento di grande spiritualità per la Chiesa?
A Roma, nei contatti con le Case religiose maschili e femminili, ho assistito ad una ininterrotta lode perenne, in particolare tra le suore di clausura, che si è innalzata al trono di Dio dalle nostre piccole dimore terrene in aiuto all’azione del Papa e dei vescovi, perché potessero accogliere per davvero la voce dello Spirito Santo e lavorare secondo la grande tradizione della Chiesa cattolica, che procede custodendo gelosamente il deposito della fede e si sforza di offrirlo come salvezza e stella polare per il cammino di tutti coloro che vivono su questa nostra terra benedetta.
Quale ricordo conserva di quegli anni?
Ho memoria di un’attesa serena, umile, orante e fiduciosa da parte delle comunità cristiane non soltanto cattoliche. Anche nell’opinione pubblica, si percepiva un senso di rispetto per un avvenimento accolto e interpretato come evento religioso. Sia durante la fase preparatoria che nel corso delle diverse sessioni conciliari, mi è sembrato di avvertire che il percorso tracciato, riassunto nel discorso di Giovanni XXIII ‘Gaudet mater ecclesia’, sia entrato in tutti noi: solo nella piena osservanza dell’ordine scaturito da Dio potremmo arrivare ad essere degli eccellenti cristiani e, qualora non appartenessimo alla Chiesa, delle persone giuste nelle quali Dio ha posto ugualmente la sua dimora. Anche uomini e donne non praticanti, con molti dubbi e in ricerca, ci confortano con l’esempio della loro onestà naturale nella quale agisce di sicuro la grazia di Dio.
Come vive oggi la sua appartenenza alla Chiesa?
Ho scelto per me, in questo ultimo tratto della vita, un motto tratto dal discorso di apertura del Concilio: “Tantum aurora est”.
È quello che disse Papa Giovanni ai vescovi: abbiamo celebrato una grande giornata, abbiamo avviato un evento religioso voluto da Dio, ci prodighiamo con tutta la nostra buona volontà ma non ci facciamo illusioni perché siamo appena all’aurora della giornata cristiana. Dopo 20 secoli di evangelizzazione, viviamo ancora alla prima ora del giorno.
Quale eredità del Concilio ha portato con sé?
Il giorno della sua elezione al papato, Angelo Roncalli affacciandosi al balcone di San Pietro benedisse la folla, sentì le grida di gioia provenire dalla piazza ma disse di non aver visto niente perché accecato dai fari di cineoperatori e fotografi. Rientrando dal balcone, dietro al crocifero, raccontò di aver guardato il Crocifisso con la sensazione che Gesù gli dicesse: “Angelino hai cambiato nome, ora ti chiami Giovanni, e hai cambiato anche il vestito. Ricordati che se non rimarrai mite e umile di cuore come me, sarai sempre cieco. Nulla vedrai della storia del mondo e della Chiesa e nulla potrai dire ai fedeli”.
Mitezza e umiltà di cuore. Penso sia questa la grande lezione da apprendere dal Concilio e dalla vita di Giovanni XXIII, umile figlio della terra italiana e cittadino del mondo, che ricordò alla Chiesa il dovere di annunciare integro il messaggio di Gesù.Che Chiesa vede a distanza di 50 anni dall’apertura del Vaticano II?
Non penso soltanto al cammino di questi 50 anni ma a quello di tutta la mia vita. La Chiesa che mi ha battezzato, che mi ha dato i sacramenti, è la stessa di sempre però più sperimentata, aperta all’abbraccio universale e inventiva. Dobbiamo tutti tenere conto della nostra vocazione: che si tratti di un ecclesiastico o di un laico, ogni battezzato ha la vocazione alla santità o, in termini più familiari, alla bontà. Sento che in tanti campi della nostra presenza – dalle missioni, alle iniziative pastorali fino all’editoria – abbiamo fatto non uno ma numerosi passi avanti. Per alcuni aspetti mi sembra che preghiamo meglio, leggiamo più in profondità, abbiamo superato certi campanilismi, guardiamo con sommo rispetto e amore i nostri fratelli che portano con noi il segno di Cristo in fronte anche se non siamo in piena comunione ecclesiale. Penso anche ai fratelli musulmani, che la Lumen gentium loda come adoratori di Dio e osservatori della sua legge. Oggi viviamo delle pagine tristissime in molti Paesi, con le contrapposizioni di cristiani e musulmani, e credo sia indispensabile un supplemento di amore verso tutti.