Protagonista
Intervista con il cardinale Georges Marie Martin Cottier, teologo emerito della Casa Pontificia, che partecipò ai lavori conciliari prima come esperto privato di monsignor Charles de Provenchères e poi come esperto del Concilio insieme al cardinale Charles Journet: “Il Concilio è stato per me un’occasione unica di confronto con teologi e pastori che altrimenti non avrei mai avuto modo di incontrare. Il confronto, il dialogo, la riflessione comune hanno allargato l’orizzonte di molti vescovi e di tutti noi perché abbiamo potuto parlare direttamente con i rappresentanti delle Chiese locali”
“Il Concilio è stato per me un’occasione unica di confronto con teologi e pastori che altrimenti non avrei mai avuto modo di incontrare. Il confronto, il dialogo, la riflessione comune hanno allargato l’orizzonte di molti vescovi e di tutti noi perché abbiamo potuto parlare direttamente con i rappresentanti delle Chiese locali. Si potrebbe dire che il Concilio è stato una circolazione di cattolicità”. A 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II il ricordo di quella stagione della Chiesa è ancora vivo nella memoria del cardinale Georges Marie Martin Cottier, teologo emerito della Casa Pontificia, che partecipò ai lavori conciliari prima come esperto privato di monsignor Charles de Provenchères e poi come esperto del Concilio insieme al cardinale Charles Journet.
Quale clima si respirava nei mesi di preparazione?
Il Concilio ha preso il via grazie alla grande intuizione dei Papi. Sono stato colpito, in particolare, dal discorso di Paolo VI all’inizio della seconda sessione.
L’intuizione del Concilio è venuta da Giovanni XXIII ma il grande Papa del Vaticano II è stato Montini.
I gruppi romani che avevano preparato i testi conciliari non erano stati abbastanza attenti alla fermentazione teologica che caratterizzava soprattutto il resto d’Europa. In questo senso, l’incontro a Roma è stato molto positivo perché ha obbligato tutti a fare un passo avanti, a ripensare i problemi, ad approfondire, ad assumere e ‘digerire’ meglio la dottrina per vederne le potenzialità.
Eminenza, il Concilio è stato anche un’occasione di confronto con il mondo ateo…
Durante il Vaticano II sono nati i Segretariati, ora Pontifici Consigli. Da consultore del Segretariato per il dialogo con i non-credenti, attuale Pontificio Consiglio per la cultura, ho vissuto esperienze veramente interessanti. È germogliata allora l’idea dei primi incontri con il mondo comunista, che rappresentava il solo movimento collettivo esplicitamente ateo. Come cattolici abbiamo visto, da vicino, l’evoluzione del comunismo. A posteriori si può certamente affermare che il regime era già condannato alla dissoluzione: ricordo la distanza ideologica dei delegati dell’Unione Sovietica, che sorvegliavano tutto imponendosi senza riuscirvi, e gli ungheresi che avevano una grande libertà di pensiero. Si percepiva già una diversità enorme tra i Paesi comunisti.
L’apertura al dialogo con le altre religioni è uno degli aspetti che hanno caratterizzato i lavori conciliari…
Il dialogo è senz’altro uno dei frutti del Concilio. Ci siamo resi conto subito che si trattava di un terreno di missione assai differenziato. Tra i percorsi più importanti vi è stato, senza dubbio, quello rivolto agli ebrei. La mentalità di molti cristiani è cambiata in profondità, con il superamento dell’antisemitismo talvolta presente.
Oggi abbiamo la possibilità di dialogare, rispettarci e guardare alla ricchezza comune sulla base della Bibbia. Un effetto del Concilio è stato proprio l’avvio degli incontri di Assisi, dove Giovanni Paolo II ha ricordato che possiamo pregare assieme tra cristiani. Questo vale anche, in parte, per i giudei con i quali recitiamo i salmi. Mentre con le persone di altre religioni, aggiungeva il Papa, stiamo insieme per pregare. È una distinzione decisiva: alcuni hanno accusato Papa Wojtyla di tradire la Chiesa ma questo non è vero, perché l’approccio da lui proposto si fonda su quei valori comuni a tutti gli uomini.
Qual è il suo giudizio sulla narrazione del Concilio da parte dei media?
Quando ritornavo a casa, in Svizzera, leggevo cosa raccontavano i media sul Concilio. In questo frangente, forse, qualcosa non ha funzionato bene.
Ogni giorno veniva emesso un comunicato stampa che rispettava la segretezza del Concilio ma alcuni giornalisti si soffermavano soltanto sui punti di conflitto, tanto da far uscire un’immagine che non corrispondeva alla realtà. Ci sono state naturalmente delle eccezioni, come “La Civiltà Cattolica” di padre Giovanni Caprile che è stato forse il migliore tra i giornalisti che hanno coperto i lavori.
Il Concilio, convocato a Roma, ha visto la presenza di tante persone che venivano per incontrare i vescovi, suggerire pensieri, indicare argomenti su cui concentrarsi. Tutta questa “nuvola” che circondava il Vaticano II non ha sempre fornito un’informazione veritiera ma ha dato un’idea vaga, spesso errata, centrata sulla falsa contrapposizione tra lo “spirito del Concilio” e la “lettera”. Chi doveva informare spesso non aveva letto nemmeno i testi conciliari e questo è uno sforzo che dobbiamo compiere oggi perché si parla spesso del Concilio senza sapere cosa ha detto con esattezza.
Cosa può dire ancora oggi il Vaticano II?
Non dobbiamo fissarci su alcuni elementi, come il dissenso dei lefebvriani, perché non sono queste le cose più importanti. Dopo ogni Concilio ci sono stati fenomeni simili. Mi auguro naturalmente che le cose si risolvano perché il dissenso offende l’unità, ma pensiamo alla crescita della Chiesa, anche nella persecuzione, in Cina o in Vietnam. Il Concilio ha preparato questo Millennio: l’evangelizzazione del Continente asiatico, il più popoloso del mondo. Tutto ciò va visto come un prolungamento del Vaticano II. Anche la presenza numerosa di musulmani in Europa è un fatto che certamente interroga la missione cristiana. Il nostro Santo Padre, nelle sue parole, è sempre ottimista: vede bene i problemi ma è guidato dalla fiducia della speranza. E questo rinnovamento della speranza è nato con il Concilio.