Ecumenismo
Conclusa la 49ª sessione estiva del Sae dedicata all’etica sociale
“Coltivare e custodire il giardino: questo diventa oggi un imperativo ecologico, che intende trasformare l’homo sapiens in homo ecologicus. Cioè l’uomo deve ripensarsi in una nuova relazione con l’ambiente e con gli animali”. Lo ha sottolineato, ieri mattina, Paolo Ricca, docente emerito della Facoltà teologica valdese, intervenendo su “Costruire la città, custodire il giardino”, nella giornata conclusiva della 49ª sessione estiva del Sae, che si è tenuta a Paderno del Grappa, dal 22 al 28 luglio, sul tema “Praticate il diritto e la giustizia. Un dialogo sull’etica sociale”.
Esigenza di giustizia. A Simone Morandini, membro del Comitato esecutivo del Sae, è toccato offrire le conclusioni della sessione. C’è una “differenza forte” tra “l’etica fondamentale e l’etica applicata, tra il nocciolo di esperienza morale vissuta personalmente e il suo articolarsi nelle aree e negli ambiti della vita”. Quest’anno, perciò, non si è trattato tanto “di esplorare alcune parole fondamentali quanto di metterle alla prova in riferimento a situazioni specifiche e a concrete aree problematiche”, in particolare in riferimento all’istanza della “giustizia”. In realtà, “è proprio nella sua declinazione sociale che l’etica è balzata in questi ultimi anni al centro del dibattito pubblico, andando ben aldilà degli spazi confessionali”. Durante la sessione è emersa “una preoccupata esigenza di giustizia”, che “si esprime” in “una dimensione di rifiuto”, attraverso “l’indignazione dinanzi all’ingiustizia” e “l’esigenza di ritrovare una forma di vita sociale in cui a ognuno sia effettivamente possibile fruire del proprio fondamentale diritto a vivere da essere umano”. Tale domanda s’intreccia oggi con la “percezione della fragilità della civitas e delle sue istituzioni di fronte al drammatico convergere di una serie di minacciose dinamiche”, come “un’economia che ha assunto il volto di sistema autoreferenziale”, “un uso puramente strumentale dello spazio pubblico”, “l’incuranza della terra”, “il rifiuto dell’altro”, “il mero pluralismo, quando viene declinato in forme non dialogiche”.
Parole chiave. Per “non cedere all’avvilimento e al senso di impotenza”, Morandini ha richiamato “alcune parole chiave di una tradizione di giustizia che sa guardare alla Scrittura come fonte di senso e alla sua luce rileggere le pratiche delle Chiese”. Dio stesso “condivide l’indignazione per l’umanità violata”, “condanna chi divora i poveri”, “condanna Babilonia”, “benedice chi ha fame e sete della giustizia”. Un secondo aspetto è “la destinazione dell’umanità alla comunione”, che si declina attraverso “una civitas figura di convivenza articolata”, “una civitas che sappia accogliere le differenze per costruire assieme vita buona”, “una civitas spazio di pace”. Il membro del Comitato esecutivo del Sae ha, quindi, parlato della “destinazione universale dei beni della terra”, contro “l’arricchimento fine a se stesso” e “l’autonomizzazione dell’economia”, e del “bene comune”, come “l’insieme delle condizioni che consentono il fiorire di buone vite e di buone vite assieme, colte nella loro interdipendenza”. Dal lavoro dei gruppi di studio è emersa anche l’indicazione di “non cessare di condannare il male, ma di promuovere nel contempo i segni di bene. Occorre formare a un senso nuovo di legalità che ribalti la logica che assegna più valore alle cose che alle persone, che rimetta al centro delle dinamiche economiche la priorità della vita e della sua qualità, i diritti umani, nel loro articolarsi con i doveri. Spazi nei quali occorre cercare ancora, magari per riscoprire in essi impreviste consonanze confessionali”.
Servizio insostituibile. Morandini, nelle sue conclusioni, ha fatto riferimento anche alla nuova sede della sessione estiva: Paderno del Grappa, in provincia di Treviso, dopo tanti anni a Chianciano Terme (Siena). “È stata una scelta positiva – ha sostenuto – per l’accoglienza ricevuta, per l’interesse suscitato nei settimanali cattolici del territorio e per i tanti volti nuovi che hanno frequentato le nostre giornate”. Bene, dunque, “il recupero del legame con il territorio e la facilità d’incontro e di rapporto, con una grande ricchezza di spazi”. Tutto ciò “consente di rafforzare il viaggiare assieme e praticare efficacemente uno stile di educazione, che è antidoto forte alla demagogia”. Guardando al futuro del Sae, Morandini ha invitato a “ripensare con saggezza su come valorizzare ciò che è nuovo e che ci arricchisce: le serate di cinema e teatro, le meditazioni condivise, il dibattito sul rinnovamento”. E questo per “mantenere e rafforzare ulteriormente quello che costituisce il dono specifico del Sae: la realtà di una comunità ecumenica che sta assieme nonostante le difficoltà; un’esperienza unica, per la quale è però essenziale l’apporto di energie nuove”. Per Morandini, soprattutto l’associazione “ha bisogno di crescere, per una testimonianza viva nelle città e nella nostra civitas nazionale, per coltivare il giardino dell’ecumene, per un servizio ecumenico umile, ma insostituibile, alla giustizia, al dialogo, alla pace”.