TEOLOGIA E 50° CONCILIO
Anche oggi sono l’unità dei cristiani, la pace e l’aggiornamento del pensare/agire della Chiesa
Quest’anno si celebrano i cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II. A mons. Roberto Tommasi, nuovo preside della Facoltà teologica del Triveneto (www.fttr.it), Gigliola Alfaro per il Sir ha chiesto quale impatto ha avuto il Concilio sulla teologia e quale è il ruolo del teologo nella realtà culturale e sociale di oggi.
Aprendo il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII segnalava come l’oggetto dell’attesa ecclesiale fosse un “balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze”, compiti ai quali la riflessione teologica è per sua natura chiamata: in questi 50 anni quale “balzo innanzi” ha compiuto la teologia?
“Negli anni successivi al Concilio muovendo dagli stimoli del Vaticano II sono emerse – anche in Italia – nuove voci teologiche; hanno preso forma teologie provenienti da nuovi contesti culturali; si sono affacciati all’orizzonte nuovi temi di riflessione; temi già trattati e centrali per la tradizione teologica hanno ricevuto significativi approfondimenti; sono venute alla ribalta nuove sedi di riflessione e discussione. Sono tutti sviluppi fondamentalmente positivi, ma negli stessi anni postconciliari è venuta progressivamente amplificandosi anche una certa frammentazione del sapere teologico. A ciò si sono accompagnate forme di crisi istituzionale della teologia. L’esigenza di superare queste obiettive difficoltà – compito aperto e affascinante della teologia attuale – non è una strategia politica di normalizzazione o di conquista, ma qualcosa che concerne l’essenziale della teologia cristiana stessa”.
A distanza di 50 anni quanto incide il Concilio sulla teologia?
“Vi sono anzitutto sullo sfondo due orizzonti corrispondenti a due intenti profondi del Concilio che stimolano la teologia attuale: il primo è quello della consapevolezza di essere chiamati a lavorare per quell’unità dei cristiani e per quella pace fra i popoli per le quali Cristo ha dato se stesso; il secondo è quello dell’esigenza di aggiornamento e riforma di tutti i pensieri e le azioni della Chiesa così da rendere il suo volto più puro, più amabile e più attraente. Entro questi due orizzonti il materiale conciliare sul tema del compito della teologia e del teologo può essere sistematizzato attorno a due snodi centrali, quello della teologia come intelligenza critico-sistematica della rivelazione divina e quello della teologia nel quadro dell’insegnamento e della riforma degli studi teologici. Tra questi due centri di interesse si inserisce la riscoperta del carattere ‘pastorale’ dell’atto teologico. In tutto questo la teologia è irrinunciabilmente invitata dal Concilio a comprendere se stessa come servizio ecclesiale tra Chiesa e società”.
Qual è il contributo della teologia al rinnovamento della Chiesa?
“Svolgendo la sua funzione di elaborare cognitivamente il sapere implicato dalla fede la teologia, senza aver mai la pretesa di esaurire le ricchezze della Rivelazione, cerca di apprezzare ed esplorare l’intelligibilità della Parola di Dio nelle modalità che sono proprie della comprensione umana connessa alla libertà del pensare e dell’agire. Con ciò offre alla comunità dei credenti in Cristo adeguate opportunità di formazione a una fede matura e pensata radicata in quella profonda conoscenza e pratica di Cristo e del Vangelo cui corrisponde una rinnovata conoscenza di se stessi e degli altri. Quando fa questo la teologia contribuisce al rinnovamento della comunità ecclesiale: strettamente legata all’esperienza spirituale che illumina e dalla quale è a sua volta alimentata essa favorisce quello sguardo nuovo, profondo e pacato che vede la verità della promessa di Gesù e propizia un radunarsi fraterno nel Signore che non è più l’andargli presso per i pani o i miracoli, ma discepolato nutrito di libertà e fedeltà a Cristo e alla missione di testimoniare in opere e parole la verità dell’amore e della cura di Dio per ogni creatura di cui egli è la vivente narrazione”.
Qual è il ruolo del teologo in una società e in una cultura che oggi appaiono lontane o indifferenti al discorso su Dio?
“Nel momento culturale attuale mi sembra che il compito del teologo sia quello di elaborare un pensiero capace di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Un tale compito si deve misurare con il contesto postmoderno dove l’eclissi di Dio fa i conti con le trasformazioni dell’epocale processo storico di secolarizzazione. L’età odierna ci riserva in proposito una grossa sorpresa perché in essa non è solo presente l’istanza critica nei confronti della coscienza religiosa, ma anche una riaffermazione del religioso e del sacro nella vita personale e sociale. Il lavoro dei teologi impegnati a favorire l’accesso di Dio agli uomini e degli uomini a Dio nella società e nella cultura di oggi mi sembra quindi anzitutto quello di illuminare la bellezza e l’energia vitale e vitalizzante racchiuse nella vivente eredità del seme cristiano. L’esecuzione di tale compito esige che si operi per il riscatto del Vangelo dal destino quasi inesorabile che le forme correnti della cultura pubblica gli assegnano: di essere cioè un’eredità culturale arcaica, certo anche venerabile, ma inesorabilmente distante e di cui ci si può appropriare soltanto in forme arbitrarie e private. A fronte di ciò la teologia e la predicazione della Chiesa hanno da saper restituire al cristianesimo la fisionomia e la bellezza di un Vangelo che promette e insieme suscita interpellandola la libertà di ogni uomo coinvolgendolo nell’avventura dell’incontro con Gesù Cristo”.