EDITORIALE
Al primo posto fra i Giusti tra le Nazioni. Gli eroi della Shoah
Il 27 gennaio cade l’anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz. Dal 2000 in Italia e dal 2005 anche all’Onu è una ricorrenza celebrata come giornata in commemorazione delle vittime del nazismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.
Gli storici non sono riusciti, e forse non riusciranno mai, a stabilire il numero esatto delle vittime del campo di Auschwitz. Quel numero varia da 1milione e mezzo a 4 milioni e testimonia l’assurdità del crimine commesso in maggior misura contro gli ebrei, ma anche ai danni di tanti altri popoli. Dal 1945 ad oggi continua l’identificazione dei prigionieri che invece del proprio nome e cognome avevano solo un numero tatuato sul braccio. È di questi giorni la notizia relativa all’identità del prigioniero numero 4267 che si chiamava Antoni Kocjan: era un ufficiale dell’esercito nazionale polacco (Armia Krajowa) impegnato a scoprire i segreti della costruzione delle bombe V1 e V2 tedesche, utilizzate poi nei bombardamenti di Londra.
Giovanni Paolo II, a pochi mesi dalla sua morte, nel messaggio in occasione del 60° anniversario della liberazione di Auschwitz letto dal suo inviato, il card. Jean Marie Lustiger, i cui genitori e fratelli furono trucidati proprio lì da nazisti, scriveva: “Parlando delle vittime di Auschwitz, non posso fare a meno di ricordare che, in mezzo a quell’indescrivibile accumulo di male, vi furono anche manifestazioni eroiche di adesione al bene. Certamente ci furono tante persone che accettarono con libertà di spirito di essere sottoposte alla sofferenza, e dimostrarono amore non soltanto verso i compagni prigionieri, ma anche verso i carnefici. Tanti lo fecero per amore di Dio e dell’uomo, altri nel nome dei più alti valori spirituali. Grazie al loro atteggiamento si è resa palese una verità, che spesso appare nella Bibbia: anche se l’uomo è capace di compiere il male, a volte un male enorme, il male non avrà l’ultima parola. Nell’abisso stesso della sofferenza può vincere l’amore. La testimonianza di tale amore, emersa in Auschwitz, non può cadere nell’oblio”.
In questi ultimi mesi, per la prima volta dopo oltre 70 anni dalla loro stesura, negli Stati Uniti sono stati pubblicati i rapporti del tenente di cavalleria Witold Pilecki, ufficiale polacco che volontariamente si fece imprigionare ad Auschwitz nel 1941 per dare testimonianza delle atrocità commesse nel lager. Qualche anno fa la storia di Pilecki (ad Auwschwitz prigioniero No 4859) ha ispirato Marco Patricelli a dedicargli un libro intitolato “Il volontario”. Al tempo della guerra i suoi rapporti, così come quelli di Jan Kozielewski, più noto come Jan Karski incaricato di far conoscere all’estero la situazione della Polonia e soprattutto la realtà dei campi di sterminio e che ben due volte, si infiltrò nel ghetto di Varsavia, non furono considerati credibili.
Nel 1941 sul territorio polacco, nonostante la minaccia di fucilazione immediata che incombeva su tutti coloro che aiutavano gli ebrei, sorse un’organizzazione clandestina denominata “Zegota” il cui compito era il fornire sostegno agli ebrei. L’ex ministro degli esteri polacco Wladyslaw Bartoszewski (ad Auschwitz prigioniero No 4427) nel 1963 su richiesta dell’Istituto Yad Vashem ha reso testimonianza dell’operato di Zegota sul territorio della Polonia occupata dai nazisti. “Se sono sopravvissuto mentre tanti miei conoscenti polacchi ed ebrei perirono, devo rendere la mia testimonianza – scrive Bartoszewski nell’introduzione del volume su Zegota che vede la luce proprio in questi giorni – Affinché non venga persa la memoria delle persone generose e non ci si dimentichi perché, a volte, vale la pena rischiare la propria vita”.
“Sono l’ultima sopravvissuta del gruppo di 11 persone che durante l’occupazione nazista si sono salvate per 14 mesi vivendo nelle condutture fognarie di Lepoli – dice oggi Krystyna Chiger, 77enne odontoiatra oggi residente a New York. – Coloro che si sono salvati, e io insieme a loro, devono la vita a Leopold Socha, Stefan Wroblewski e Jerzy Kowalow. Questi tre addetti alle fognature, insieme alle loro famiglie e a rischio della vita, ci hanno salvati dall’olocausto. Senza il loro aiuto e il loro sacrificio non saremmo riusciti a sopravvivere e saremmo stati trucidati dai nazisti come tanti altri”. Krystyna Chiger è la protagonista del film della regista polacca Agnieszka Holland che in questi giorni esce nelle sale in Italia. È solo una delle tante storie della Seconda Guerra Mondiale il cui tema principale è l’orrore, e che mai devono essere dimenticate.
Nello Yad Vashem, il museo dell’Olocausto i 6.339 polacchi riconosciuti come Giusti tra le nazioni perché aiutarono gli ebrei a sopravvivere alla Shoah costituiscono il gruppo più numeroso. Gli italiani sono 524 su un totale di oltre 24mila persone. Si calcola che gli ebrei trucidati durante la Seconda Guerra Mondiale furono circa 6 milioni.